Polemiche a distanza


di

L’unico modo per combattere l’odio è con più odio.
Eric Cartman

Niente resterà impunito era una vecchia rubrica di Cuore dove venivano somministrate a cadenza settimanale dosi di giustizia morale al fine di raddizzare torti del passato giacenti nel dimenticatoio pubblico. Qualche giorno fa sono incappato in un vecchio articolo che Omar Calabrese scrisse sul Corriere nel 2000 e con lo stesso spirito revanscista che fu dei redattori di Cuore ho deciso di ribattere con 14 anni di ritardo a Calabrese, di cui peraltro ero stato e sono un estimatore. Nell’articolo il semiologo, scomparso nel 2012, se la prendeva con i Simpson e South Park accusando in particolare i piccoli Stan, Kyle, Cartman e Kenny, “di essere la miniatura e caricatura del mondo degli adulti, ancora una volta proprio come i Peanuts. Solo che questi bambini sono volgari e trucidi. Dicono parolacce, sono prevaricatori e violenti, fanno discorsi del tutto politically incorrect”. L’intero articolo era in effetti un paragone tra i compagni di Charlie Brown e quelli di Cartman. Mentre i primi vengono identificati come la personificazione in chiave satirica delle ansie, delle idiosincrasie e dei turbamenti dell’uomo occidentale, i secondi sono semplicemente sporchi, brutti e cattivi. Calabrese ha ragione quando indica nei bambini di Schulz lo zeitgeist di allora, la presa in giro e insieme l’endorsement nei confronti della generazione dei baby boomers che cresce tra gli anni ’50 e i primi anni ’60, confusa dai valori di quella società al tempo stesso conservatrice e rivoluzionaria, e che si andrà a spiaccicare di lì a poco sulla guerra in Vietnam, sulle famiglie sataniche e sui ghetti in fiamme. Paragonandoli ai Peanuts, Calabrese riconosce il carattere provocatorio ma accusa comunque i mostriciattoli del Colorado e la famigliola di Springfield, genitrice morale dei primi, di essere involucri di cattiverie e invettive essenzialmente vuoti. Di non avere come Schulz un obiettivo, un’idea da perseguire. South Park e i Simpson sono provocazioni fine a se stesse in quanto creature della televisione moderna dove tutto, bello o brutto, retorico o crudele, colto o trash, viene fornito indistintamente senza mediazione perchè l’unico scopo è “il successo, non il ribaltamento di un sistema di valori”.

Alla posizione di Calabrese rispondo in 3 punti:
I. Da dove vengono i Simpson e South Park? Quali sono le loro radici? Se Calabrese si fosse preso la briga di controllare meglio la genesi almeno dei primi, che nel 2000 avevano alle spalle già una decina di stagioni, avrebbe scoperto che Matt Groening non era il tipico disegnatore al soldo di una compagnia televisiva, stile Disney per intenderci, tutto matite, carta e nessuna voce in capitolo su storia e personaggi. Groening al tempo della creazione dei Simpson era un fumettista underground che aveva colpito molti con una striscia caustica e difficile come Life in Hell. Groening negli anni ‘70 si era fatto le ossa all’Evergreen State College, l’università più hippie d’America, dove aveva diretto il giornale universitario e disegnato assieme a gente come Charles Burns, per dirne uno. In una lunga e interessante intervista-monologo del 1990 rilasciata alla BBC, Groening confermava di essere sempre stato un divoratore di serial televisivi e un grande fan delle vignette di Ronald Searle del New Yorker e delle strisce di Schulz. Chiaramente sia Groening, sia Parker e Stone, debbono il loro successo alla televisione ma trovo estremamente superficiale da parte di Calabrese considerarli niente più che dei parvenu che imbroccano i gusti del pubblico. In che maniera si spiegherebbe allora il successo assolutamente internazionale delle due serie? Sappiamo bene che il pubblico americano e quelli europei hanno gusti diversi. Non sarebbe più onesto dire che il pubblico di massa ha, negli anni, cambiato le proprie preferenze e ha trovato il proprio Life in Hell a casa Simpson?

II. La dissacrazione continua, la cattiveria esplicita, una certa dose di violenza e crudeltà e la volgarità che può sfociare anche nel cattivo gusto sono componenti che derivano in modo naturale dal pensiero politico degli autori. Trey Parker, Matt Stone e Matt Groening, anche se più moderato, sono esempi di artisti che per loro stessa volontà non si posizionano in nessuno spazio politico e che spinti da un libertarismo radicale (quello sì) sfidano la libertà di espressione artistica per attaccare tutto e tutti. Siamo al confine col nichilismo? Probabilmente sì, ma non c’è alternativa. Se vuoi dire la tua sulla società dall’interno di un tubo catodico o dalla pagina di una rivista non devi farti alleati. Altro che il guscio vuoto di Calabrese. South Park è un attacco continuo all’America. Se dovessi fare un paragone arrischierei di riesumare Andrea Pazienza che in quanto a cattiveria sulle pagine non era secondo a nessuno. Zanardi padre putativo di Cartman? Nel mio immaginario sì.
Zanardi di Andrea Pazienza
III. L’incapacità di eliminare i preconcetti generazionali dall’analisi è un difetto tipico del modo in cui si parla di cultura in Italia. La chiosa di Calabrese è emblematica:”Schulz rimane ancora un grande e irripetibile maestro, il rappresentante di alcune generazioni che hanno creduto nella speranza delle idee”. La novità viene classificata e giudicata sulla base di paragoni assolutamente soggettivi, valutata su una scala di valori creata dalle proprie esperienze e regolarmente stroncata. Umberto Eco e Oreste del Buono sdoganarono negli anni ‘60 i fumetti nel mondo intellettuale italiano e lo fecero scrivendo dei Peanuts. Il risultato, oltre al fatto che finalmente anche gli studenti di sinistra non dovettero più nascondersi per leggere i fumetti, fu che un’aurea filosofica in quegli anni si creò attorno ai Peanuts e si cementificò a tal punto da essere utilizzata come arma contundente verso qualsiasi esempio di fumetto più commerciale. Spiace constatare che anche un osservatore attento come Calabrese rimase vittima di questa faida generazionale tutta italiana.

PS: un mistero aleggia nell’articolo. Ad un certo punto Calabrese cita le “scandalose” Tatarughe Ninja che sembrano attirare tutto il disprezzo dello studioso. Oltre a prenderle per delle ulteriori diavolerie nipponiche, alla stregua delle Mazinghe di Furio Colombo, Calabrese afferma che trattasi di animazione ma non disegnata bensì di pupazzi. Il mistero mi attanaglia: chi può aver preso per il culo in maniera così crudele il povero Calabrese da fargli credere che Michelangelo, Raffaello, Donatello e Leonardo vivano in una fogna di Tokyo e siano dei cugini in panno di Topo Gigio?


3 commenti

  • alunno Proserpio ha detto:

    La cantonata di Calabrese è solo l’ultima di una lunga serie di commentatori che, pur essendo di spessore in certi ambiti, dimostrano di sapere poco su quello di cui parlano quando escono dal loro terreno (eppure sono spinti a parlare comunque…). Il vero tema, paradossalmente, è che oggi le serie animate americane sembrano un po’ ripiegate sul loro passato glorioso. Il caso Simpson è eclatante, South Park lo seguo meno in questi ultimi anni… Lancio una provocazione: perché i grandi creatori di frammenti di cultura pop non si decidono, a un certo momento, di lasciare per seguire altre strade. Questo accomuna forse Schultz a Groening: il rischio di di diventare macchine da marketing, e gli USA sono diabolici in questo: nel trasformare la minaccia e la contestazione in una nicchia di mercato. In ambito fumettistico c’è che ha avuto il coraggio di lasciare, vedi Watterson con Calvin e Hobbes (al massimo del successo) o Breathed con Opus-Bloom County. Mi ricordo che negli anni ottanta c’erano le classifiche degli americani che avevano fatto più soldi. C’erano sempre Schultz, Bill Cosby e i Grateful Dead. Emblematico: il genio del fumetto trasformato in brand, il nero rassicurante che piace a tutti e i gli acid rockers diventati macchina per fare tour miliardari per gli ex sballatoni baby boomers…

  • alunno Proserpio ha detto:

    Ovviamente Schulz senza t

    • duffogrup ha detto:

      Pensa che anch’io all’inizio avevo scritto tutte le volte Schultz!! Tornando alla tua provocazione, penso anch’io che da una serie che va in onda da più una decade (i Simpson da 26 anni!!!) non ci si possa aspettare più che un decoroso declino. C’è da dire che nei casi in questione, mentre Parker e Stone ancora partecipano in prima linea alla realizzazione degli episodi di South Park, Groening ha lasciato da tempo ogni coinvolgimento attivo nei Simpson, diventandone una sorta di vecchio saggio garante, e si è lanciato in altri progetti come Futurama. Il lato negativo dell’industria culturale, in una ipotetca battaglia catena di montaggio vs artigianato nel mondo dei cartoni/fumetti, è proprio questo: una volta che una serie sfonda, se dietro c’è una compagnia che all’inizio ha sganciato i soldi, questa non molla l’osso e lo spolpa per anni fino a dissanguarlo da ogni idea creativa.

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