Wake Up, Dolores!
Part 1: The place to be


di

Quanta cazzo di frustrazione avete dentro?
Quante ce ne è nelle esistenze che quotidianamente vivete?
Siate sinceri. Abbastanza. Per alcuni forse troppa.
Siate ora altrettanto sinceri. Cosa dareste per trovare il vostro habitat ideale, nel quale poter trascorrere la vostra vita in maniera appagante, come meglio desiderate. Badate, non parlo di pulsioni sommesse e schifezze varie ma di ricerca del proprio-Io nascosto, seppellito dalla grigia routine quotidiana, di una quest mirante alla liberazione del “fanciullino interiore” di pascoliana memoria, che alberga – alquanto imprigionato – in ognuno di noi, come ci hanno insegnato. Parlo di un posto dove poter tirar fuori i vostri istinti migliori (eventualmente, pronti alla pugna con coloro che, purtroppo, tireranno fuori gli istinti peggiori).
Bene, se ve lo potete permettere, benvenuti a Westworld! Duffogrup lo sa dal 2005, Alunno Proserpio lo avrà compreso dalle nostre vecchie, prime chiacchierate: per il sottoscritto il non plus ultra della serialità televisiva è rappresentato da una e una sola serie, Lost. Ora, quanto quell’opera di fiction ha costituito uno spartiacque nella mise en scene narrativa operata dal e nel piccolo schermo (fino ad allora praticamente solo lineare), climax del primo decennio del II millennio, così Westworld punta con sicurezza – di mezzi, di cast artistico, ovviamente di ideatori e sceneggiatori – a configurarsi come la milestone di questa seconda decina d’anni. Quale prodotto di entertainment della contemporaneità è infatti riuscito meglio a catturare lo zeitgeist di questi tempi difficili, di forti tensioni esterne ma, forse soprattutto, di potenti tensioni interne all’essere – non per forza, come ci viene mostrato nel serial – umano? Nessuno. Grandi domande esistenziali (ci) vengono offerte e poste in continuazione da numerose lavori finzionali, sempre più spesso provenienti da videogiochi di qualità altissima. Penso immediatamente a un altro dei miei cavalli di battaglia, Mass Effect, in particolare nel suo terzo e, per il momento, ultimo capitolo. Ma se vogliamo trattare di opere dalla diffusione davvero massiva, è chiaro che il pensiero deve andare all’universo cine-televisivo.

Alzi la mano la persona che, almeno una volta nella propria vita, non abbia desiderato di liberarsi da gioghi professionali, famigliari, di relazioni. Sognare, specie ad occhi aperti, può essere un’arma potente, per quanto spuntata. Nel mirino essa ha la vuotezza delle nostre esistenze, ormai schiacciate da meccanismi sociali e lavorativi grigi e iterativi, che inevitabilmente non fanno che schiantare ogni sogno di altro già sul nascere (se non per la élite che può permettersi di vivere dentro esso). Lo scontro avrebbe come ricompensa il poter guadagnare un piano esistenziale in cui avere campo libero per le proprie reali aspirazioni e, certamente, uno spazio nel quale poter vivere certe situazioni in maniera deresponsabilizzata, cosa peraltro del tutto diversa dalla vita di quei lattanti insopportabili a cui tutto è concesso. Infatti, anche nel suddetto ambiente ogni azione porterebbe a una conseguenza con la quale fare, prima o poi, i conti.

Chiudete gli occhi e immaginate questa scena: un cowboy, accompagnato dal suo fedele destriero e dalla propria altrettanto fedele arma da fuoco, immerso in una sterminata prateria e, di fronte a lui, un orizzonte senza fine, avvolgente. Immaginate. Respirate. Vivete! Non è Red Dead Redemption, è Westworld ma siamo nel medesimo universo dei rari capolavori generati da menti illuminate dell’entertainment globale. Siamo in un mondo che è stato reale a tutti gli effetti nel passato e che ora lo è nuovamente, una terra nella quale, se ve lo concederete (e ve lo concederete), il vostro Io/Ego uscirà fuori, prima sommessamente ma subito dopo in maniera inarrestabile, prepotente. È solo questione di volontà e di (poco) tempo.
Ho scritto queste righe subito dopo la visione di “Trompe L’Oeil”, 7° episodio della I stagione della serie. La speranza in quel mondo non è di casa o comunque se la passa molto male, esattamente come nel nostro. Nelle prossime puntate, le cose peggioreranno sicuramente, ancora e ancora, e non solo per i protagonisti della storia ma anche per la disillusione che provo verso il genere umano.
Sul podio:
– Evan Rachel Wood: Dolores. Della serie: basta la parola (in questo caso, vederla). Mai visto un personaggio così maltrattato per ore e ore e ore. Poi, sorride un attimo e il cielo torna limpido.

– Jonathan Nolan: la mente e il burattinaio, assieme a Lisa Joy.

– Ed Harris: il villain Man in Black. Ci torneremo su.

Menzione onorevole a:
– Ramin Djawadi, autore delle musiche. Il main theme, cupo ed estremamente suggestivo, anche grazie alle immagini della sigla, credo proprio resterà negli annali cinetelevisivi.

Citazione finale:
“Che tu possa vivere in tempi interessanti” (sorta di maledizione cinese). Quello (quelli?) di Westworld lo sono di certo…


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