“Oh, Yeah!” Bibite, LSD e controllo mentale


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Allora, l’altra sera, dopo essermi visto L’uomo che fissava le capre, con la pioggia che batteva furiosa sulle persiane, avevo deciso di mettere sul lettore un cd dei Byrds, per farmi cullare dalle loro chitarre luminose e dai coretti simil folk. Come il mio solito, mi sono poi messo al computer per cercare qualche considerazione o qualche recensione dedicata al glorioso gruppo sixties capitanato da David Crosby, celebre tra l’altro per aver raggiunto il successo suonando “Mr Tambourine Man” di Bob Dylan e per avere scritto un inno pop ricavando il testo dall’Ecclesiaste. Arrivato sul sito di Julian Cope, Head Heritage, mi sono letto una recensione del terzo disco dei Byrds, scritta da uno dei numerosi amici dall’arcidruido che si dedicano a cantare le lodi di ronzii elettronici, disturbi psichedelici, freakkettonismi vari, tribalismi semi krauti, protopunkers paganeggianti e altre amenità.
Nella recensione si fa riferimento alla copertina del disco, intitolato Fifth dimension. Sulla copertina, foto su fondo nero col nome scritto in caratteri semi indiani Paisley e i nostri con i capelli non ancora del tutto lunghi vestiti come i loro nipotini hipster che dovevano ancora nascere. I quattro Byrds sono su un tappeto orientale che, messo com’è sul fondo nero, sembra una specie di tappeto magico che li stia trasportando da qualche parte. Ma la cosa strana è un’altra. I nostri eroi hanno tutti quanti in mano un bicchiere di carta, tipo quelli che ti danno da Mc Donald’s o al cinema, di Kool-Aid. Negli anni avevo già sentito parlare di quella strana bevanda, ma non avevo mai approfondito la cosa. Allora sono andato a cercare qualche informazione in più.

Il Kool-Aid è una specie di bibita non gassata che può essere di vari gusti e viene creata mescolando una polverina magica con acqua e zucchero. L’ha creata un certo Edwin Perkins negli anni venti in America ed è venduta ancora oggi, con campagne mirate in modo specifico al pubblico dei latinos. Pur senza sapere bene di cosa si trattasse, il Kool-Aid lo conoscevo per due motivi: è famoso perché negli anni sessanta il celebre giornalista Tom Wolfe l’ha messo nel titolo del suo The Electric Kool-Aid Acid Test, mitico reportage su Kevin Kesey e sui Merry Pranksters, uscito nel 1968. Il titolo si riferisce appunto a un Acid Test compiuto in California durante il quale una buona quantità di LSD era stata mischiata al Kool-Aid in polvere. Nel libro, seguendo le peregrinazioni del gruppo di pre-hippy e del loro scuolabus psichedelico, si incontrano una serie di personaggi ormai entrati nella leggenda della controcultura: gli Hell’s Angels, i Grateful Dead (che suonarono proprio durante uno dei test di Kesey e per l’occasione cambiarono nome, passando da “Warlocks” a quello definitivo), Allen Ginsberg e compagnia bella. Tra processi e trip di ogni tipo il libro segue le vicende di Kesey e dei suoi accoliti fino all’esilio in Messico, al riparo dai vari mandati di arresto che gli pendevano sul capoccione. Ah, per inciso, il Messico è il luogo in cui attualmente viene prodotto il Kool-Aid.
Comunque i nostri Byrds sul tappeto magico nel 1966 tengono in mano bicchieroni di Kool-Aid e questo fa pensare che gli autori dell’immortale inno psichedelico “Eight Miles High” (che ufficialmente parla della paura di volare di uno dei quattro ma, con tutte quelle schitarrate simil raga indiano, quel basso rimbalzante e quelle parole, sembra parlare di ben altro tipo di viaggio) stessero esplorando gli stessi territori dei Merry Pranksters, che in quel fatidico anno fecero anche loro uscire un disco, chiamato, ovviamente, Acid Test. Che il logo della bibita, un mostruoso uomo caraffa pieno di Kool-Aid liquido avesse una evidente derivazione lisergica è innegabile. Nelle pubblicità usciva dai muri delle camere dei ragazzi e, oltre a preparargli un’abbondante dose di bevanda, pronunciava la sua frase tipo (come si vede in numerosi epsidosi dei Griffins). La sua catch phrase era “Oh, Yeah!”. Neanche il “Dude” Lebowski avrebbe potuto escogitare una cosa del genere.

Quindi ci sono buone probabilità che quando nei fumetti o nei film si vedono i classici ragazzini che d’estate vendono bibite fresche ai passanti, non si tratti di tè, limonata o camomilla ma di belle caraffone di Kool-Aid, chissà se modificato oppure no…
Ma il bello del grande paese è che dietro a ogni storiella piena di colorini lisergici, chitarrine jingle jangle e bevande fresche per ragazzini c’è in agguato il lato oscuro. Tipo Manson con gli hippie o il misterioso Mr Dark che arriva nel paesino di provincia in Something wicked this Way Comes. E qui troviamo il secondo motivo per cui avevo sentito parlare della bibita in polvere.
Non mi riferisco ai noti problemi di salute di David Crosby, un uomo che ha consumato più sostanze di un gruppo di fattoni di medie dimensioni a Bologna nel 1977. La faccenda è molto più macabra ed è collegata a uno di quegli eventi traumatizzanti che di tanto in tanto si verificano, scuotendo l’America e trasformando i suoi sogni in incubi. Il fatto è che “Bere il Kool-Aid” significa farsi imbottire la testa di baggianate da parte di leader, guru e maestri spirituali vari. Questa forma di mind fucking deriva dal fatto che nel 1974 il buon reverendo Jim Jones, il grande capo del Tempio del Popolo, invitando i suoi seguaci a darsi la morte nel bel mezzo della jungla della Guyana, a Jonestown, ebbe la bella pensata di mescolare cianuro e sonniferi al Kool-Aid. Da cui abbiamo appunto “Drinking the Kool-Aid”, nel senso di farsi indottrinare o manipolare dal leader di un culto o da qualche altro presunto gran maestro, ed ecco la seconda catch phrase collegabile alla nostra bibita, dopo quella dell’omino caraffa che esce dai muri. “Oh, Yeah!”
In realtà, e questo è l’ultimo passaggio, il Reverendo Jones non aveva fatto bere del Kool-Aid, ma del Flavor-Aid, bibita concorrente (o quantomeno aveva avvelenato l’una e l’altra bibita, e forse ce n’erano anche delle altre tra le scorte della comunità). Ma siccome Kool-Aid era diventato una sorta di nome generico (come Coca-Cola per indicare qualsiasi tipo di Cola), l’opinione pubblica consegnò per la seconda volta all’eternita (dopo il libro di Tom Wolfe) la nostra bevanda in polvere. Va detto che nella lotta tra i due personaggi simbolo, l’omino della Flavor Aid, un triste uomo cannuccia senza gambe immerso perennemente nel liquido colorato, perde decisamente il confronto con il fantastico uomo caraffa. Anche se a volte avere un brand di successo può avere effetti collaterali davvero imprevedibili. Noto en passant che anche il Flavor Aid viene indirizzato soprattutto a un pubblico di latinos e non so se da questo si debba trarre qualche inquietante conclusione.


Per non finire su queste note cupe, ritorno su Kesey, che oltre ad essere il capo dei Merry Pranksters, è stato anche l’autore del libro Qualcuno volò sul nido del cuculo. I primi contatti con l’acido pare li avesse avuti grazie alla CIA, dato che aveva preso parte come volontario alle sperimentazioni collegate al progetto super segreto MKUltra, il programma di controllo della mente dei servizi di intelligence americani. I solerti funzionari governativi erano in quegli anni impegnati a combattere il pericolo rosso cercando droghe per far confessare i prigionieri ed escogitando nuovi modi per fare il lavaggio del cervello. Cioè, in un certo senso, cercavano di capire come funzionano i meccanismi per manipolare la mente, ovvero per far “Bere il Kool-Aid” alle persone. Pare tra l’altro che in un incredibile cortocircuito tra verità e finzione, gli uomini a capo del programma MKUltra avessere tratto ispirazione per le loro ricerche dal film The Manchurian Candidate e come sempre nel nostro tempo iperpop è sempre difficile capire se sia la fiction a prendere spunto dal mondo reale o se sia la realtà stessa ad essere strutturata come una specie di fiction lisergica in cui i dissetanti Kool-Aid Men tengono per mano i fantomatici Men in Black. Un momento, però. Dove ho già incontrato il nome MKUltra? Nel libro di Jon Ronson L’uomo che fissava le capre. Da cui è stato tratto il film che ho visto prima di mettere su il cd dei Byrds. Nelle prime pagine del libro e nei primi minuti del film un generale a capo dei servizi di Intelligence cerca di allentare con il pensiero i propri legami molecolari per passare attraverso un muro. Proprio come faceva l’uomo caraffa.
“Oh, Yeah!”


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