Quando il nome fa la differenza: eroi mitici, eroi borghesi e il Quartetto Cetra


di
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Mastro Stout
Sono sempre stato colpito, non in maniera particolarmente positiva, dalla scelta di creare personaggi dei fumetti dotati di nome e cognome con le medesime iniziali. Di esempi ce ne sono a bizzeffe. Solo per restare nel Belpaese, quanti esempi di questa tendenza si trovano in casa Bonelli? In ordine cronologico: Martin Mystère, Dylan Dog, Nathan Never e Brad Barron (vabbè, quest’ultimo decisamente non noto come i precedenti ma comunque titolare di una “miniserie”). Ma, andando maggiormente indietro nel tempo e cambiando scuole fumettistiche, tale azione era già fortemente presente nei comics USA, almeno dalla nascita degli iconici personaggi Disney Donald Duck e Mickey Mouse. Ad inizio anni ’40, poi, compariranno vari casi simili in campo supereroistico, come, per esempio, “Lex” Luthor e Wonder Woman, i primi che mi vengono in mente. Penso che questa tendenza abbia avuto il suo apice negli anni ’60, grazie ad autori quali Stan Lee e Jack Kirby, che crearono nientepopo dimenoche Reed Richards & Susan “Sue” Storm, Dr. Doom (da noi, Dottor Destino), Peter Parker, Otto Octavius detto Octopus, Scott Summers, ecc.

La domanda che mi pongo da anni è: “Ma è proprio vero che i lettori dovrebbero ricordare più facilmente nomi di questo tipo?”. Personalmente, direi che sono i nomi corti a essere preferibili in tal senso (Zagor, Diabolik… Java!).

duffogrup
Prendo la palla al balzo direttamente dall’ultima frase di Mastro Stout, a cui do il benvenuto per essersi unito ufficialmente e in maniera perpetua al gruppo di Dead Parrot, per rispondere con un perentorio NO alla sua domanda. Certamente la doppia iniziale è un espediente, una formuletta nata nel mondo anglosassone dei comics. Un mondo che aveva l’unico scopo di vendere albi ai bambini e allora via a nomi che paiono presi da filastrocche. Comunque, iniziali a parte, l’idea parte da un assioma sbagliato e cioè che per imprimere nella mente un nome due parole sono meglio di una. Per spiegare la mia posizione, mi allontano dal mondo del fumetto per considerare da un altro punto di vista questo interessante argomento.
Nel 1914 la squadra dell’Exeter City, dopo una tournè in Argentina, si sposta in Brasile invitata dall’appena nata Federação Brasileira de Sports. Il 21 luglio 1914 Exeter entra negli annali del calcio per essere stata la prima avversaria della Seleção, che vinse anche l’incontro 2-0. Leggendo i tabellini, accanto ai nomi e cognomi tipicamente inglesi dei giocatori dell’Exeter City, appaiono i nomi propri di alcuni giocatori brasiliani che a distanza di più di cent’anni ci risultano incredibilmente familiari: Rolando, Abelardo, Pindaro. Potrebbero essere i nomi di tre giocatori brasiliani dell’attuale rosa del Botafogo e invece sono i primi “apellidos” di giocatori brasiliani registrati a livello di gara ufficiale.
Se nel caso dei tre citati, i fratelli Rolando e Abelardo de Lamare e Píndaro de Carvalho Rodrigues, trattasi di soprannomi coincidenti con i loro nomi propri, tipo Neymar per intenderci, quando arriviamo a “Formiga” ci troviamo davanti ad un vero e proprio soprannome e solo dopo interminabili ricerche sul web veniamo a conoscenza che il nome della formica era l’altrettanto improbabile Aphrodísio Camargo Xavier. L’uso dei soprannomi in Brasile per indicare un calciatore è essenzialmente dovuto alla facilità di ricordare nomi a volte semplicemente troppo lunghi per una vastissima schiera di appassionati, spesso del tutto analfabeti. Immaginiamoci un menino di Sao Paulo scrivere su un muro con mille difficoltà il nome di Edson Arantes do Nascimento o quello di Edvaldo Izidio Neto, quando invece con semplicità può vergare dei velocissimi Pelè e Vavà. E non dimentichiamoci che la bizzarria dei nomignoli brasiliani, associata alla voglia di sperimentare del Quartetto Cetra, ha dato origine ad uno degli esempi di più fulgida follia musicale degli anni ’50, a cavallo tra divertissement sul samba e goliardata razzista in stile coloniale.


La forza del nome singolo, senza bisogno di doppie iniziali, secondo me però è dovuto anche ad un altro fattore oltre alla possibilità di memorizzarlo più facilmente e cioè al fatto che inconsciamente utilizziamo il nome singolo nello stesso modo in cui gli antichi eroi mitologici Ulisse, Achille o Diomede perdevano nella parlata comune il patronimico, pur avendolo. Gli eroi che siano quelli dell’Iliade, giocatori brasiliani leggendari o quelli dei fumetti della golden age (anche italiana), per ricondurmi al discorso iniziale di Mastro Stout, non hanno il cognome perchè sono altro rispetto ai comuni mortali. Quando Givanildo Vieira de Souza prende il soprannome di Hulk non è solo perchè assomiglia come una goccia d’acqua a Lou Ferrigno ma anche perchè sul campo gioca con un impeto e una forza bestiale, proprio come il mostrone verde che, guarda un po’, nella sua versione timida e gracile prende il nome di Bruce Banner. Dylan Dog, Martin Mystere, Peter Parker sono eroi diversi da quelli classici; se vogliamo sono eroi più proletari e democratici che si confrontano con cose più grandi di loro e per poterle affrontare in alcuni casi devono smettere i panni della persona qualunque e diventare Spiderman o hanno bisogno di Groucho (di cui non viene mai nominato il cognome!) e Java. Distorcendo Nanni Moretti mi viene da ribadire che, nel fumetto, i nomi sono importanti e che se con un piccolo stratagemma si riesce a dare una dimensione in più ad un personaggio nuovo ben venga anche la doppia iniziale; tutto sta a dare un senso alle cose. Il mondo del fumetto italiano non ha bisogno di rifarsi a convenzioni e consuetudini vecchie di 60 anni per vendere ma ha necessità di storie e personaggi che si imprimano nei ricordi per quello che sono e fanno, li chiamasero anche Pinco Pallino.


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