La percezione della memoria (fallace)


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Vi è mai capitato di avere un ricordo talmente bello di una determinata opera audiovisiva o letteraria da avere quasi paura di riprenderla in mano, di temere il fatto che, rivivendola a distanza di tempo, ciò porterà a giudicarla diversamente che in passato (e, solitamente, in maniera peggiorativa)? Posso ovviamente parlare solo per me stesso ma credo di aver appena descritto una situazione piuttosto comune al genere umano.
Lo spunto per questa considerazione si lega, in particolare, al rapporto di profondo amore e considerazione che ho nei confronti della Nona Arte. Confesso di provare un discreto timore allorché mi accingo a rileggere una graphic novel, una miniserie, un semplice albo la cui fruizione mi ha suscitato, al tempo della prima lettura, emozioni particolarmente positive. La qual cosa, tanto per fare un esempio concreto, mi tiene – colpevolmente – lontano dal godermi nuovamente un’opera seminale quale “Watchmen” (che, ricordiamolo, è una miniserie, non una graphic novel, come spesso e impropriamente, viene purtroppo definita).

Restando in tema di serie supereroistiche, voglio citare un’attività appena portata a conclusione ossia la fresca rilettura di una specifica saga a suo tempo decisamente apprezzata: la run dello sceneggiatore Mark Waid sulla “JLA” di inizio millennio.
Waid raccolse il testimone, a dir poco scottante, di scrittore della testata dalle mani di quel geniaccio scozzese di Grant Morrison (so molto amato anche da Alunno Proserpio per i suoi “The Invisibles”), il quale, a fine anni ’90, aveva rivoltato come un calzino lo storico brand della publisher house DC Comics portandolo a vette artistiche talmente somme da essere poi solamente sfiorate, in rare occasioni. La Justice League of America, primo supergruppo della storia dei comics – nacque ad inizio 1960 – sotto la mirabile gestione morrisoniana si consolidò da subito come IL team supereroistico per eccellenza, riunendo in sé non tanto degli oltre-uomini e delle oltre-donne quanto delle vere e proprie icone, di più, degli archetipi in carne e ossa, se così si può dire di character di fiction.
Torniamo però a Waid. Divorai la sua “raccolta del testimone” man mano che veniva pubblicata dall’editore italiano Play Press, allora detentore dei diritti della serie. Il curriculum dello scrittore statunitense era una vera sicurezza, basti citare la sua opera probabilmente più famosa e toccante, la miniserie “Kindom Come”, uno di quei capolavori del medium fumetto che ogni appassionato di quest’arte dovrebbe leggere. Quanto ai disegni, va detto come, fortunatamente, si era temporalmente usciti dalla vacua moda dei disegnatori superstar dei nineties, le cui storie erano di una povertà spessa assoluta. “JLA” poteva in particolare contare sull’arte semplicemente spettacolare (pressoché perfetta, vogliamo dirlo?) del maestro Bryan Hitch nonché di un notevole sperimentatore della matita quale J. H. Williams III, autore purtroppo di un solo episodio ma futuro resident artist del prequel di “Sandman”, da pochissimo conclusosi anche nel nostro Paese.
Non solo. La run godeva di trame letteralmente fiabesche (vedi il mini ciclo in cui il gruppo si scontrava con… la Regina delle Fiabe!), immaginifiche ma sempre solide, dotate di una cupezza strisciante. Insomma, stiamo parlando di un periodo editoriale della testata decisamente fortunato, che per anni mi ha lasciato la sensazione di aver vissuto in prima persona una fase qualitativamente altissima della vita di quei personaggi, nati tra gli anni ‘30 e ‘40 del secolo scorso, particolare da non dimenticare. Infatti, pur con diversi decenni di storie sul groppone, i vari Superman, Batman, Wonder Woman, Lanterna Verde, Flash, Aquaman, Plastic Man e Martian Manhunter (tanto per citare i membri fissi della Lega di allora) erano protagonisti di storie particolarmente riuscite.

Eppure…
Eppure succede che il mio occhio di lettore odierno, a distanza di circa 15 anni dalla prima lettura delle storie in oggetto, sia divenuto maggiormente critico, probabilmente maturato. In parte, è come se il velo della memoria, felice per le ore spese su quei brossurati, sia scivolato via, spinto dal vento inesorabile del tempo che passa e che quasi mai è galantuomo. Sarebbe ora noioso elencare i singoli punti per cui quelle avventure mi sembrano oggi di un tenore artistico inferiore (ho spulciato anche il web in merito, quasi a trovare “certezze”). Preferisco sentire da voi, amici del blog, se abbiate vissuto sensazioni del genere e in quali occasioni. Io ho portato solo un esempio, peraltro estremamente recente, ma ve ne sarebbero diversi, anche, e soprattutto, in campo cinematografico. Magari ne parleremo più avanti.
Nel frattempo, continuo a lasciare chiuse le pagine di “Watchmen”…


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