La Folgorazione del Cretino: rivedere, rileggere, riascoltare


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Prendo al balzo la palla servita da Mastro Stout nel suo post perché il ragionamento che suggerisce è molto interessante. Confesso subito di essere uno che tende a ripetere le esperienze di fruizione estetica: rivedo film, rileggo libri e fumetti, riascolto musica, e spesso mi sono trovato a vivere l’esperienza descritta dal Mastro: delusione per aver ripreso in mano un certo fumetto o per aver fatto partire un film amato negli anni passati. La cosa interessante, secondo me, è che queste esperienze di delusione (o di rinnovato entusiasmo) dicono forse più cose su di noi, su come il tempo ci ha cambiati e su come i ricordi si impastano fino a decretare statuti mitici per cose che forse mito non sono, ma che comunque in un modo o nell’altro hanno avuto un impatto su di noi. Vorrei parlare non tanto delle riletture o revisioni deludenti, ma delle diverse tipologie di piacere che provo nel ritornare a un libro, un disco, un fumetto, ecc.


Nel tempo ci capita di incontrare opere che, in vari modi, cambiano il nostro modo di entrare in rapporto con una determinata espressione artistica: capolavori indiscussi o folgorazioni personali o soprendenti momenti di svolta. Mi ricordo, nella seconda metà degli anni ottanta, la scoperta, a bocca aperta, sulle pagine di “Horror” e “DC Comics presenta” (entrambe edite dalla Comic Art), dei primi episodi dello Swamp Thing di Alan Moore o di Sandman. Per me, piuttosto distante dal fumetto americano, l’incontro con questi fantastici manipolatori di codici rappresentò un’esperienza straordinaria. Poi, col tempo, dopo varie riletture, si è creata una forma di familiarità che ha un po’ attutito l’impatto, portandomi non tanto a ridimensionare le opere di Alan e Neil, quanto a metterle in prospettiva. Dopo alcuni anni, allontanandomi dalla passione feroce per il fumetto, non ho più sentito il bisogno di riprenderli in mano, ma ho continuato a cercare quel tipo di situazione e di esperienza, l’incontro con un’opera che ti lascia tramortito a chiederti cosa è successo. Anche altri incontri successivi, che so, Akira di Otomo o Black Hole di Burns, le opere di Enki Bilal, The Invisibles di Morrison, per quanto splendidi, non mi hanno dato la stessa sensazione di scoperta assoluta. Forse dipende da una serie di fattori difficili da replicare, un misto di attesa, necessità, sete di scoperta e un pizzico di inconsapevolezza. Come girare un angolo e trovarsi di fronte a un monumento o a una montagna che non sapevi fosse lì ad attenderti. Dopo la prima volta, sai già cosa aspettarti e anche se il prossimo monumento o la prossima montagna sarà più bella della prima, il fatto stesso di aspettarti qualcosa rende l’impatto meno forte.
Lo stesso accade col cinema, ricordo ancora la prima visione, in seconda serata, su Rete 4, di Profondo Rosso. Ero in seconda o terza media, e da quel momento il mio amore per il cinema horror diventò assoluto. E so bene che, qualsiasi cosa accada, niente replicherà quella nottata, quel terrore misto a piacere provato nell’entrare insieme a David Hemmings nella vecchia casa o nella scuola alla ricerca dei disegni dell’assassino. E anche se il buon Dario è ormai ridotto a un’ombra di se stesso, gli dovrò per sempre la scoperta di un modo di fare paura al cinema. Più da vicino mi è capitato qualcosa di simile con certa elettronica inglese, tipo Burial o Demdike Stare: la sensazione di trovarsi di fronte a un cambiamento di percezione, la scoperta di suoni e atmosfere che non avrei pensato di trovare nei pochi minuti di un pezzo. La cosa interessante è che la folgorazione è arrivata dopo che per parecchi anni avevo smesso di ascoltare musica recente: come dire che occorre tornare ad essere un po’ ingenui e inesperti per farsi sorprendere. Un’altra riflessione: quando rientri in contatto con certe opere, parte il mitico effetto madeleine proustiana, ritorni alla prima volta che hai visto o letto quella cosa. Quando ascolto Master of Puppets dei Metallica abbasso ogni soglia di valutazione critica, e torno ad essere un metallaro di 15 anni, senza se e senza ma. Forse questa è però una sottocategoria: folgorazioni talmente potenti in cui tu sei in qualche modo diventato parte dell’opera stessa.

Ci sono poi esperienze che derivano dalla capacità da parte di un’autore di creare e arredare un mondo completo (uso questo concetto prendendolo da Umberto Eco, maestro a sua volta nel creare mondi narrativi immersivi, come ne Il Nome della Rosa o Il Pendolo di Foucault). Sono i grandi creatori di universi, architetti o stregoni che ricreano una realtà parallela alla nostra, con delle regole e un’estetica proprie. In questo caso il piacere deriva non dalla scoperta di qualcosa di nuovo ma, come un bambino che ascolta una fiaba, nel ritrovare le cose esattamente come sono. Questa è la forza, per me, di TinTin o Asterix, oppure di Star Wars o, in modo diverso, di 8 e 1/2 e Amarcord, di molti film di Polanski o Wes Anderson, di serie come Freaks & Geeks o The League of Gentlemen. Entri in un mondo che hai già visitato molte volte e godi del fatto di conoscerne appieno le regole, il funzionamento, i meccanismi, i personaggi, gli abiti, le inquadrature. Sono spesso costruzioni maniacali, con regole complesse, e istruzioni per l’uso dettagliate: gli orari dell’abbazia del delitto del Nome della Rosa, le popolazioni delle Terre di Mezzo, il castello di Moulinsart, i racconti alchemici che sottendono molte storie di Corto Maltese, l’universo della Spada di Ghiaccio, gli abiti dei membri della famiglia Tenenbaum. Il piacere deriva dal conoscere ogni svolta del labirinto, ogni stanza del castello, ogni scena del romanzo, ogni vignetta del racconto. A volte, quando è un po’ che non rientri in uno di questi romanzi mondo (o fumetto. o film…) sei talmente in rapporto con quell’universo che se qualcosa non torna ti risulta più semplice credere che sia l’opera ad essere cambiata, piuttosto che dubitare dei tuoi ricordi…
Infine ci sono quelli che gli americani chiamano i guilty pleasures, i piaceri colpevoli, quelle cose di cui ci si dovrebbe vergognare ma in realtà ci piacciono tantissimo. Hanno a che fare, secondo me, col piacere del rincretinimento, con lo sbragare e con l’essere serenamente imbecilli. Credo di non mancare di rispetto a nessuno se cito Franco e Ciccio o Monnezza, o il sublime la Cena dei Cretini. Forse in questo caso non ritrovi l’esperienza folgorante o il mondo arredato perfettamente, ma dei vecchi amici, con le loro manie e i loro tic. Il compagno di scuola scorreggione o quello che faceva le battute cretine, lo scemo del paese che dice sempre le stesse cose. In questi casi l’esperienza che vogliamo ritrovare è l’esperienza di una singola scena o un singolo gesto. Ma saremmo pronti a dare cento capolavori della storia del cinema per la canzoncina di Lino Banfi o per Zach Galifianakis che fa amicizia con una scimmietta. Non sono necessariamente situazioni comiche, ma sono momenti che rivedresti all’infinito attivando una strana condizione regressiva, come rivedere cento volte un accoltellamento di Halloween o rileggere periodicamente l’elenco dei nettaculo di Rabelais oppure l’incontro tra David Copperfield e il garzone del macellaio con i capelli unti con la “sugna magica” (tutti vizi di cui sono ovviamente colpevole).

A volte, in questa approssimativa classificazione, le cose possono cambiare di posto: Laurel & Hardy per anni stavano nella categoria “Amici Cretini” poi ti rendi conto che ti hanno folgorato con la loro genialtà; Shining era per me una “Folgorazione”, poi è diventato un “Mondo perfetto” nel quale rientrare di tanto in tanto. Paolo Villaggio era un “Amico Cretino” e ora mi rendo conto che con Fantozzi ha creato un “Mondo perfetto”. TinTin è stato un “Mondo Perfetto”, ma ora preferisco cercare la battuta scema del Capitano Haddock e quindi sta entrando nella categoria “Amici Cretini”. Alcuni libri, come Finzioni di Borges, Rayuela di Cortazar, la Vita istruzioni per l’uso di Perec, le Città invisibili di Calvino, Infinite Jest di David Foster Wallace, sono state “Folgorazioni”, poi ora sono a metà tra “Mondi Perfetti e “Amici Cretini” che dicono sempre le stesse cose ma che staresti per ore ad ascoltare. Tarantino crea “Mondi Perfetti” semplicemente riempiendo ogni scena di “Amici Cretini” presi in dialoghi strampalati.
Ora mi rendo conto che questa mia classificazione sembra essere più che altro un piccolo trattato sulle turbe mentali di uno studioso di estetica che ha letto Umberto Eco mentre accanto a lui un suonatore di banjo ritardato strimpellava una melodia degli Appalachi, per cui l’esperienza estetica può essere 1) folgorazione di un demente colto alla sprovvista 2) costruzione minuziosa di un nerd paranoico senza speranza 3) incontri periodici con amici cretini che si mettono le dita nel naso e fanno varie cose vergognose, ma questo mi è venuto da dire.


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