From abbey to abbey
Report musicale di mezza estate (Parte IV)


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La cena, dunque, nonostante l’abbondanza di torte e tortini, di salumi e salamelle, di piade e tigelle distribuite dai vari furgoncini sparsi accanto ai portici di Soliera, si rivela impresa non da poco. Questo a causa di un venditore di gnocco fritto in preda a un furibondo deficit dell’attenzione. Il Duffo cerca di allungare le mani sulle cibarie ormai pronte, ma il venditore si gira da tutte le parti, intavola pezzi di discussioni, raccoglie ordinazioni, se ne dimentica, mette uno gnocco sulla friggitrice, rimane con la fetta di salame a mezz’aria, si ricorda di essere sulla terra, e subito decolla con altri frammenti di discorso a vanvera. Ottenuti gli ambiti gnocchi, Duffo entra quindi in fase due: il pagamento. Ed ecco che il venditore si lancia in altre digressioni, intavola conversazioni con i passanti, perde di nuovo il filo. Dopo quindici minuti buoni, sempre sotto la pioggia, la transazione si conclude, tra l’ilarità generale. Mangiamo dunque al ripare dei portici, mentre all’interno della cinemino suonano i Sick Tamburo, che volentieri abbiamo deciso di ignorare.

Il nostro obiettivo per la serata era quello di arrivare in discrete condizioni psicofisiche alla sessione di chiusura, con i Ninos do Brasil all’Arci di Soliera, ben decisi a distruggerci in salti e balli tribali. I Tre Allegri Ragazzi Morti li abbiamo già visti una mezza dozzina di volte a testa nel ridente Nord Est e anche Vasco Brondi, colto in un paio di performance agli esordi, siamo disposti a perderlo. Giorgio Canali, che il Duffo vide con altre sei o sette persone in quel di Villa Varda, parecchi anni fa, ci fa l’effetto di un buon zio rock & roll, e lo lasciamo ai più giovani.

All These Things I Used To Have di Yakamoto Kotzuga

La pioggia comincia a scendere cattiva e capiamo ben preso che i Tre Allegri saranno esposti al maltempo (la sfiga della Tempesta colpisce ancora, puntualissima). Da fuori sentiamo a un certo punto la strumentazione che salta e il concerto che continua a suoni di cori da parte del coraggioso pubblico. Vista la situazione immaginiamo, a ragione, che la serata all’Arci verrà anticipata, e ci apprestiamo a studiare appostamenti nel parcheggio per cogliere l’attimo d’apertura senza dover stare sotto la pioggia.  Mentre stiamo in auto vediamo Vascellari e Fortuni che manovrano, forse per andare alla vana ricerca di qualche cibaria pre concerto, e li osserviamo come agenti segreti o cospiratori, prima di entrare nel locale in attesa delle danze.

E le apre, le danze, il padovano sotto pseudonimo Yakamoto Kotzuga, con un’elettronica accompagnata da chitarra effettata, intelligente, a volte algida, ma ben fatta, trasognata, con un buon misto di rotolamenti post dubstep e venature azzurrine da discepolo dei glitch di Fennesz. I visual scorrono bene, con giapponeserie varie e immagini marziali-gay di Mishima, che fa sempre la sua figura.
I Ninos, non c’è nemmeno da dirlo, spaccano e fanno saltare (anche se buona parte del pubblico, attonito, rimane impalato, forse si attende una mistica apparizione di Vasco Brondi e non si accorge, come certi pagani ignari della venuta di Nostro Signore, che l’evento c’è l’hanno a portata di mano). “Sombra da Lua” fa già capire come gireranno le cose, e così passano le danze techno tribali di Novos Misterios: “Sepultura”, “Essanghelo”, la title track. I Ninos, con le facce pitturate di bianco, sembrano due pappagallini automatici caricati a molla e l’atletico Vascellari ci regala un acrobatico salto da stunt man che conclude sfasciandosi sul palco e facendo pensare al peggio. Subito in piedi, però, a sparare stelle filanti e distribuire strumenti tra il pubblico per arrivare all’orgia finale, scandita dalla ormai classica “Tuppelo”, col Duffo che intona scalmanato “dighi-dighi-dighi”. Immensi, come su disco, e non si sa dove potranno arrivare con il loro sciamanismo elettronico-tropicale.
Il barcone di Claudio Parmiggiani

Il giorno dopo, per il ritorno, in ordine sparso: caccia a un ristorante, ma nella proverbiale e paffuta Emilia la domenica a pranzo, evidentemente, non si mangia. Mostre e installazioni alla fondazione Maramotti, a dimostrazione che a vendere vestiti a prezzi assurdi poi si comprano quadri belli. Foto di artisti della New York anni ottanta, scattate da Jeannette Montgomery Barron, con Warhol, Basquiat, Schnabel, il ritorno della figurazione. E una buona rappresentanza italiana, con Francesco Clemente che sembra un incrocio tra Vascellari e Saviano, Luigi Ontani sotto una fontana romana, Enzo Cucchi perfetto gentiluomo da cazzeggio. In mostra poi Alex Katz, David Salle, parecchia transavanguardia, un cerchio nero di Annette Lemieux, le pistole spara elastici di Tom Sachs, Un quadro fantastico di Mike Kelley, con pannocchie, 666 e bambini satanici, che ovviamente fa pensare a Stephen King. Un’installazione con cuscini che fa venir voglia di stravaccarsi e fare gli scemi, un orso addormentato in una cassa di legno, le voci da babau di Vito Acconci, un barcone tipo isola dei morti, oscuro e minaccioso, appeso al soffitto, opera di Claudio Parmiggiani.

Ancora: l’impossibilità di trovare gnocchi fritti nel deserto di Reggio Emilia, una retrospettiva memorabile di Luigi Ghirri in vecchio palazzone fantasma che sembra stia per crollare. Si mangia in una birreria che manda a tutto volume i CCCP.

 

Prima puntata di “From abbey to abbey – Report musicale di mezza estate”
Seconda puntata di “From abbey to abbey – Report musicale di mezza estate”
Terza puntata di “From abbey to abbey – Report musicale di mezza estate”


2 commenti

  • duffogrup ha detto:

    Ricordo bene il venditore di gnocco fritto di Soliera. La cosa più vicina ad un ipotetico incrocio tra Doctor Who e Sarchiapone che potessimo vedere con i nostri occhi. E ricordo bene anche Molteni che si aggira da bravo padrone di casa tra i pargoli fradici assiepati all’Arci, con l’aria di contare le teste e fare rapidi calcoli a mente sull’incasso. Ma soprattutto ricordo accanto a noi un panzuto signore sulla cinquantina, vestito con una mimetica fuori moda e con quattro capelli biondi in testa. Le ragazzine che lo circondano, adoranti e sbarazzine, non sanno però di trovarsi difronte al relitto ormai in disarmo di quello che un tempo avrebbe potuto benissimo essere il cantante di un gruppo fighetto, tipo i Futuritmi.

  • Mastro Stout ha detto:

    Poveri Sick… 😉

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