From abbey to abbey
Report musicale di mezza estate (Parte I)


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Fedeli alle tradizioni anche quest’anno i componenti della squadra Dead Parrot, ex covata malefica, ex tana del leprecano, si sono dedicati alla solita abbuffata estiva di musica live. Prima tappa usuale del pellegrinaggio concertistico è una meta a noi cara essendo situata a due pedalate da casa, il festival Sexto ‘nplugged che si svolge nell’arco di alcune settimane presso l’affascinante scenario dell’abbazia di Sesto al Reghena. Sexto è una rassegna molto attenta alla scena alternativa e gli organizzatori sono riusciti a creare una sorta di mini riserva indie spaziando nel corso degli anni tra generi diversi, proponendo sempre concerti interessanti e mai scontati. Quest’anno ad aprire le danze ( purtroppo solo metaforicamente, visto che al Sexto ‘nplugged bisogna rimanere obbligatoriamente seduti) sono stati il 26 giugno Angus & Julia Stone preceduti da Johnny Flynn and the Sussex Wit. I fratelli australiani sfruttano le doti ipnotiche di Julia, soprattutto nei confronti del pubblico maschile, e propongono dei bei pezzi pop manipolandoli con suoni rock o atmosfere più folkeggianti. In alcuni momenti mi ricordano i Band of Horses. Meno eleganti ma devo ammettere un pelino più divertenti gl’inglesi Johnny Flynn and the Sussex Wit con il loro folk rock più semplice e diretto.

Dopo essere stati musicalmente stuprati da Silverio al Codalunga di Nico Vascellari nei modi che ha ben già raccontato l’alunno Proserpio, abbiamo deciso di seguire gli ormai svegliati istinti danzerecci e percorrere l’A4 alla volta della cava di Rupinpiccolo in pieno carso triestino per assistere al concerto della Fanfare Ciocărlia: band di musica balcanica romena o meglio band di gitani (o rom) romeni che fanno musica gitana che noi chiamiamo balcanica. La location del concerto è fantastica e riaffiorano sbiaditi ricordi di alcoliche feste in grotta organizzate nello stesso luogo dai studenti di geologia. La band ha un età media attorno ai 50 anni e un peso medio tranquillamente sul quintale eppure pestano sui tamburi e soffiano nelle trombe con una forza che li trasforma in breve tempo in una massa di carne, musica e sudore. Buona parte del pubblico, su logica richiesta della Fanfare, fanculizza le transenne che dividono i posti seduti dal resto del mondo e si mette a saltare sotto il palco ai ritmi romani.

Arriviamo così verso metà luglio ad un ulteriore appuntamento fisso delle nostre estati la Fiera della Musica di Azzano Decimo. Nel programma di quest’anno spiccava la serata dedicata a tre gruppi storici della scena di Manchester: i Buzzcocks, The Fall e gli Inspiral Carpets. A lato dei concerti la Fiera offre un altro appuntamento imperdibile: il mercato del disco, popolato da personaggi che valgono da soli il prezzo del biglietto. Nonostante la poca loquacità che contraddistingue il mondo dei mercatini di dischi, in quanto prettamente maschile come confermato dagli stessi standisti con un velo di rammarico, l’alunno Proserpio apprezza i rari discorsi filosofici che emergono da sotto i tendoni. Da parte mia, sono assolutamente convinto che venditori amatoriali di dischi siano secondi solo ai giostrai quanto a malvagità. Venendo ai concerti, molto divertenti i Buzzcocks che suonavano con 30 anni di anticipo la musica che ha fatto vendere ai Green Day milioni di dischi. Piacevole la parte di concerto degli Inspiral Carpets che non conoscevo per nulla e che, mi istruisce l’alunno Proserpio, costituirono uno degli anelli di congiunzione tra i rimasugli della new wave inglese e il nascente britpop. Uno dei gruppi di quella scena musicale che venne chiamata Madchester. Il pezzo forte della serata è comunque l’esibizione dei The Fall o dovrei dire di Mark E. Smith.Mark E Smith
Da consumato direttore di un gruppo, che ormai cambia componenti alla stessa velocità con cui lo stesso Smith scola una bottiglia, è lui a decidere anche in piena esibizione se qualcuno dei componenti va fermato o peggio eliminato. Con il rapido gesto della mano che mima lo sgozzamento usato così frequentemente nemmeno a Marsiglia negli anni ’30 o nei peggiori bar di Caracas, Smith intima al percussionista di smettere di suonare, perchè se lui non è in grado di recitare due parole comprensibili di fila allora nemmeno il pubblico deve godersi il resto della band che continua a pestare imperterrita sugli strumenti. E siccome dopo 40 minuti il pubblico si sta cominciando a scaldare, l’avvinazzato Smith decide che per lui è abbastanza e se ne va nel retro del palco. Solo che dopo un minuto si ricorda che la band è roba sua e con un altro inequivocabile gesto della mano decreta il “tutti fuori”. Comincio ad avere il sospetto che Smith abbia un passato da giostraio e che nei ritagli di tempo, tra una bottiglia di whiskey e una di Vetril, passi il tempo blaterando da solo sul Manchester City sotto una tenda lercia sperando di vendere i suoi vecchi cd rigati.


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