Danze nella notte tropicale
Novos Misterios dei Ninos du Brasil


di

Se è vero che nei riti brasiliani del Candomblé si onorano gli Orixà, le grandi divinità delle religioni africane che hanno accompagnato gli schiavi nel forzato esodo sudamericano, c’è da chiedersi quale Orixà abbia posseduto i corpi e le anime di Nicolò Fortuni e Nico Vascellari per fargli sfornare questi Nuovi Misteri. Forse Oxossi, il protettore ioruba dei cacciatori, che li ha spediti a fare razzia di ritmi sudaticci da foresta tropicale? Oppure il potente Oxalà, signore delle teste, capace di suscitare visioni e illuminazioni, che presiede, come versione Candomblé di Nostro Signore Gesù Cristo, alla fecondazione degli uomini e della terra, che ha permesso di generare un impossibile ibrido tra tribalismi africani e potenti risucchi elettronici?

L’unica certezza è che Novos Misterios conferma la potenza dei Ninos du Brasil. I due veneti, superando la foga del debutto Muito NDB, arrivano alla famigerata Hospital Production di Dominick Fernow infrangendo tutte le barriere: Sombra da Lua è un potente frammento di Techno berlinese che emerge dai deliri percussivi del duo; Legiõs de Cupins è pura ipnosi minimal che sembra accompagnare uno strano rituale notturno balinese. E tra omaggi ai Sepultura, allucinazioni da batucada psichedelica e invocazioni da stadio, gli incanti ritmici ci portano in una jungla piena di animali dai poteri sorprendenti, con la ragnatela di richiami e rumori da horror di Jesus Franco della finale Novos Misterios. Chiamati a raccolta, nel cuore della notte, in qualche spiazzo nel mezzo di una foresta brasiliana, ci troviamo proiettati in un territorio mentale attraversato da corpi invasi dal ritmo. Ed eccoci pronti a farci possedere da forze e vibrazioni naturali, per entrare in una trance musicale piena di visioni, miraggi e lampi colorati, come se ci trovassimo ad un rave in Amazzonia, con un allucinato Klaus Kinski-Fitzcarraldo a presiedere alla follia generalizzata. Se per gli schiavi neri la musica e la possessione erano un modo per perdersi e ritrovarsi, grazie a una paradossale connessione transtemporale, di nuovo in contatto con le radici perdute, queste piccole scosse tribali creano un improbabile essere nomade e splendente, un essere senza radici perché punto di convergenza di tutti i flussi sonori che abitano l’etere. Forse è la stessa creatura che vediamo nella bellissima copertina di Luigi Ontani: un uomo-donna-dio-animale che ci attende in una radura, invitandoci a entrare nella danza. Già uno dei dischi dell’anno e una delle visioni musicali più abbaglianti degli ultimi tempi.


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