I Quiz del Dead Parrot: Serie TV!


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Tra le serie tv del passato nominane tre: una che ricordi ancora con piacere, una che non hai mai sopportato e una su cui il tuo giudizio, riguardandola a distanza di tempo, è cambiato drasticamente?

Mastro Stout La serie originale di Star Trek. Mi faceva davvero sognare, specie nella intro di ogni avventura, quei primi minuti di narrazione a cavallo della sigla iniziale. Tuttavia, a pari merito, devo citare “Dallas”, serie che avevo iniziato a seguire grazie a una nonna. Anche questo serial mi faceva sognare a occhi aperti ma, sinceramente, per tutte altre cose! Ah, i ricchi e felici anni ’80… è davvero passato un secolo!
Love Boat. Sicuramente ero troppo piccolo all’epoca per comprenderla appieno e seguire le vicende narrate ma davvero, fin dalla sigla, mi irritava. In un aggettivo: noiosa.
Più che serie con attori in carne e ossa, citerei diversi anime, in particolare di robottoni. Ma, ovviamente, il discorso va contestualizzato, van considerati i mezzi tecnici con cui erano realizzati, il fatto che allora ero un bambino/ragazzino, ecc. Se proprio dovessi nominare una serie tv “live action”, potrei dire Twin Peaks. Diversi anni fa venne riproposto sul piccolo schermo e fu un flop. All’epoca della prima messa in onda l’avevo apprezzata molto ma ammetto che quando iniziai a rivederla la magia era come svanita. Temo sia invecchiata male, non so se per ritmi narrativi oppure perché certe atmosfere e cliché plasmati da Lynch sono poi stati copiati e riproposti (spesso male) un numero indefinito di volte in tantissime altre serie.
alunno Proserpio Ce ne sarebbero tante, da ricordare, anche perché la generazione della prima metà anni settanta è cresciuta a suon di serie, da quelle pomeridiane a quelle, mi pare, delle 19.00-19.30. Come dimenticare la Ford Gran Torino rossa e bianca di Starsky e Hutch, il pappagallo di Baretta, le prime serie della Casa nella prateria… E più tardi A-team, con la più straordinaria sproporzione tra colpi sparati e colpi andati a segno… e Richie, Fonzie & co. e zio Zeb della Conquista del west, con la giacca di pelle a frange che non si cambiava mai… Ma basta scherzare, Duffo sa giá la risposta. Un perfido robivecchi di Watts, il suo figlio baffuto, un camion rosso scassato, zia Esther, un funkettone di Quincy Jones come sigla. Finte crisi cardiache, “Elizabeth sto arrivando…!!!” Sanford and Son
Poi vado in sintesi. Orazio di Maurizio Costanzo, una delle massime vergogne catodiche italiane.
Probabilmente Lost, mi sembrava geniale poi con il tempi l’ho ridimensionata. Però la prima volta che la vedi è un gran viaggio…
duffogrup Tra le tantissime serie che da teledipendente ho seguito nel corso degli anni quella che sicuramente devo mettere sul mio altare personale è X-Files. Seguire le avventure di Mulder e Scully, archetipi di tanti e tanti personaggi venuti negli anni a seguire, era un obbligo della domenica sera. Perdere una puntata voleva dire perdere il filo di una continuity avvincente. Una sensazione che non avevo mai provato prima: per la prima volta avvertivo veramente l’attesa settimanale per la messa in onda. Una serie che detestai quasi da subito fu invece The West Wing. La serie che narra le vicende alla Casa Bianca di un presidente democratico interpretato da Martin Sheen, creata dal “guru” Aaron Sorkin. The West Wing, fece gridare al miracolo quando uscì perchè effettivamente la sceneggiatura era veloce, fresca e diversa da quello che si vedeva in giro. Ben presto però il baraccone pareva non reggersi più in piedi: i dialoghi erano irreali, le situazioni confuse a tal punto da rendere inutile ogni tenttaivo di seguire la trama politica che stava di fondo alle vite dei protagonisti. La serie era diventato un lungo, ininterrotto, botta e risposta velocissimo tra personaggi irreali. McGyver invece è sicuramente la serie su cui il mio giudizio è cambiato di più. Quando da ragazzo guardavo Richard Dean Anderson abbattere una diga con una lattina, una gomma da masticare e una pila AA non potevo fare altro che immedesimarmi in quel geniale inventore-avventuriero, ora non posso fare altro che prendere per il culo quella zazzera e usare la sua immagine sorridente come meme del ridicolo nei forum del web.

Se facessi parte di una coppia di detective/poliziotti di una serie, chi sceglieresti come tuo partner?

Mastro Stout Domanda difficile… Non essendo una persona particolarmente pratica, opterei per Vic Mackey di The Shield, interpretato dal grande Michael Chiklis (sì, il tuo Commissario Scali, Duffo 😀 ).
Un vero duro, incasinatissimo, con una “morale” tutta sua che non voglio giudicare. Tuttavia, se ci si dovesse trovare in condizioni logistiche difficili e/o disperate (situazioni classiche, ovviamente, nei polizieschi americani), sfido a trovare un poliziotto sul cui supporto contare maggiormente.
alunno Proserpio Rust di True Detective per fare lunghe chiacchierate nichiliste, l’agente Cooper di Twin Peaks per sperimentare qualche tecnica Zen onirica di indagine. E Stavros, il riccioluto collega di Kojak, per capire che cazzo faceva tutto il giorno in ufficio. ..
duffogrup Elementare! Sceglierei Sherlock Holmes, nella versione di Jeremy Brett degli anni ’80. Sarei un ottimo Dr. Watson.

Con quale personaggio di una serie faresti cambio immediatamente?

Mastro Stout Con… troppi! ;D Per restare a serie tv recenti, in ambito sit-com direi il mitico James Belushi di La vita secondo Jim (il fatto che nella serie sia sposato con Courtney Thorne-Smith è chiaramente un quid). In ambito tv series, probabilmente Hank Moody di Californication e non tanto, banalità, per il numero di storie/relazioni/avventure che vive, quanto per l’incredibile capacità di bere alcool, di tutti i tipi e gradazioni, dalla mattina alla serie, e non soffrire mai di mal di testa! Quasi un analgesico su due piedi.
alunno Proserpio Con Garth Marenghi, sognatore, visionario, genio, autore di capolavori horror come Slicer 1-4, Black Fang e Afterbirth (in cui una placenta mutante attacca Bristol) soprattutto protagonista della serie degli anni ottanta Garth Marenghi’s Darkplace. Episodi come Once upon the beginning e The Apes of Wrath non dovrebbero mancare nella cineteca di qualunque appassionato della tv vintage…
duffogrup Con il comandante Straker di UFO che dalla sua base combatte pericolosi nemici alieni. Naturalmente l’unico abbietto motivo dello scambio sarebbe quello di essere circondato da bellissime sottoposte, coi loro mini abiti anni ’60 e tutte rigorosamente coi capelli viola. No accetterei deroghe all’abbigliamento.

Quale tra le serie tv che hai visto, a prescindere dal fatto che ti sia piaciuta o meno, reputi veramente innovativa?

Mastro Stout Risponderò sempre e solamente con una parola: Lost. Dire che mi è piaciuta tantissimo è riduttivo. Lost è stato davvero, come per tantissimi, un fulmine (ma buono) a ciel sereno, amore a prima vista. Il fatto di partire narrativamente in un modo, di indirizzarsi in un altro e di finire in tutt’altra maniera è una novità magari non assoluta, ma la tripla struttura temporale su cui man mano la serie si regge non si era mai vista prima (e credo proprio non si rivedrà mai più sul grande e sul piccolo schermo). L’ultima puntata, guardata, anzi, ammirata più volte, è sempre una grande emozione.
alunno Proserpio Ritengo assolutamente geniali alcune serie inglesi degli ultimi quindici anni: la black comedy The league of gentlemen, che crea personaggi bizzarri e li immerge in universo completamente autoportante, l’immaginaria cittadina di Royston Vasey, tra northern gothic e umorismo british. The mighty boosh, commedia pop piena di riferimenti musicali e trovate surreali (rinvio a un mio post sul tema apparso sulla Covata malefica). The Office e in genere le cose di Rickie Gervais. Ultimamente la cosa più incredibile che ho visto è Jam, del 2000, di Chris Morris, sperimentazione continua e umorismo nerissimo, audio distorto, colonna sonora elettronica che va tutto il tempo. Fa quasi star male a vederla…
duffogrup Senz’ombra di dubbio Twin Peaks di David Lynch. Per la prima volta un autore si dedica seriamente al mezzo televisivo seriale e gli dà profondità e dignità. Nelle prime puntate tutto è perfetto: il ritmo, l’ambientazione, i dialoghi, la musica. Alla fine la confusione lynchana prende il sopravvento ma la strada per le altre serie è segnata.

Una sigla da ricordare?

Mastro Stout Una? Tante, tantissime! Per non far “torto” alle sigle della mia infanzia e adolescenza, punto su una degli ultimissimi anni: il tema western di Hell on Wheels. A mio avviso, un piccolo capolavoro musicale, quasi un pezzo di Morricone velocizzato. E la serie è ancora meglio.
alunno Proserpio La silhouette di Don Draper, prima con la sigaretta e il whisky su una poltrona di design, poi che cade dal grattacielo nella sigla di Mad Men. Tutta la serie in 30 secondi.
duffogrup Scelgo quella di Attenti a quei due di John Barry (ma se barassi come fanno sempre i miei compagni di blog dovrei scrivere anche che ogni tanto canticchio pure le sigle di Missione Impossibile e di Bonanza).

Quale mezzo di trasporto vorresti guidare/portare?

Mastro Stout Anche se son rimasto scioccato dalle recenti rivelazioni su come effettivamente si muovesse (e su cui stendo un velo pietoso), non posso non citare KITT, la mitica Pontiac Firebird Trans Am di Supercar (Knight Rider).
alunno Proserpio La vasca di deprivazione sensoriale in cui si immerge Olivia in Fringe.

duffogrup Per l’atmosfera e l’avventura che si porta dietro scelgo il Cutter’s Goose, l’idrovolante scarcagnato della serie I Predatori dell’Idolo d’oro. Anche se c’è il serio rischio di schiantarsi ad ogni decollo.

Se ne fossi stato il produttore, quale serie avresti interrotto prima del tempo per evitarne l’avvenuto declino? E per quale invece ti saresti battuto per evitarne la chiusura?

Mastro Stout Direi proprio House of Cards. Ho solo iniziato a seguire la terza stagione, per poi mollare, ma è davvero di tutta altra pasta rispetto alle prime due. Capisco le logiche commerciali ma la serie aveva trovato un suo finale (perfetto) al termine della seconda stagione.
Senza ombra di dubbio Night Stalker (2005-2006), la serie più inquietante mai seguita che, proprio per le sue atmosfere horror, ha spaventato troppo l’infantile pubblico americano che ne ha decretato una prematurissima e inconcludente fine già al 6° episodio (da noi sono almeno giunti ulteriori 4 episodi che eran stati girati). La storia del giornalista Kolchak è tragica, le vicende che si trova ad affrontare spaventevoli. La “fine” lascia decisamente l’amaro in bocca per quello che poteva essere e non è stato (raccontato).
alunno Proserpio Facile, Heroes dopo la prima serie. O Fringe dopo la terza.
Freaks & Geeks, interrotto dopo una sola stagione e poi diventata di culto. A fare giustizia però il successo di moltissimi attori: dal simpatico delinuqente James Franco, allo scontroso Seth Rogen. E poi Linda Cardellini, deliziosa brava ragazza che si unisce ai Freaks, Jaseon Siegel, Martin Starr. Autore di questa tenera odissea nerd ambientata nel 1980 Paul Feig e a produrre un certo Judd Apatow…
duffogrup Probabilmente avrei interrotto The Big Bang Theory che dall’essere la serie definitiva per nerd sui nerd (inteso in termini molto allargati) si è trasformata, dopo 8 stagioni, in una sitcom come tante altre. Mentre mi sarei battuto come un leone per far diventare la miniserie The Lost Room una serie in piena regola avendo un grandissimo potenziale in termini di sviluppo della storia.

Una serie e/o una miniserie che vuoi consigliare a tutti per le lunghe notti invernali che si stanno avvicinando.

Mastro Stout Sicuramente Daredevil. Lo dico a scatola chiusa, non avendo visto ancora nessun episodio, ma raramente ho sentito parlare così bene di un telefilm, addirittura in termini di cinefumetto definitivo.
alunno Proserpio Life’s too short di Gervais, con Warwick Davis: l’episodio di Johnny Depp e quello di Helena Bonham Carter sono in grado di illuminare tutte le serate d’inverno dei prossimi dieci anni. Oppure Tinker Taylor Soldier Spy, la serie anni settanta della Bbc, con Alec Guinness nella parte di Smiley, la spia di John Le Carre. La migliore spy story e forse la miglior mini serie di tutti i tempi.
duffogrup Voglio consigliare Silicon Valley perchè in una manciata di puntate Mike Judge (quello di Beavis and Butthead) è riuscito a creare dei personaggi comici leggendari. Se poi avanza un po’ di tempo ci si può sempre tuffare nel crazy-fantasy delle miniserie inglesi tratte dai libri del Mondo Disco di Terry Pratchett oppure, se si vuole prestare il fianco alla nostalgia, rigustarsi l’unico capolavoro italico della nostra infanzia televisiva: le 5 puntate del Pinocchio di Comencini.


I Quiz del Dead Parrot: Comics!


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Con quale personaggio dei fumetti passeresti una serata al bancone di un pub tracannando pinte?

Mastro Stout Troppo facile! Pinte (di Guinness, ovviamente) + pub = l’unico e il solo John Constantine!
alunno Proserpio Facile, con Capitan Haddock, anche se sono sicuro che poi finirebbe in rissa, col capitano che sbraita contro gli altri avventori insultandoli in modo fantasioso. Forse però sarebbe meglio andare direttamente sul Whisky!
duffogrup Direi che approfitterei del massimo esperto di birra nel mondo del fumetto e cioè Charles Steenfort, protagonista della prima parte della saga dei Maestri dell’orzo di Jean Van Hamme e Francis Vallès nonchè capostipite della tradizione birraia della famiglia Steenfort. Sarebbe una serata interessante, corredata da spiegazioni dettagliate sui pregi della birra belga e innumerevoli insulti nei confronti di quella tedesca.

Con quale personaggio dei fumetti passeresti una (ma anche più di una, per Diana!) romantica serata?

Mastro Stout So io, so io la risposta di Duffo! Diana Lombard in Mystère 😉 Ora non dire che non è vero, Duffo! Quanto a me, direi che, pescando a caso tra le Bad Girls dei comics USA dei Nineties, cadrei benissimo! In ambito orientale, sicuramente una tra Lamù, Fujiko Mine e Misato Katsuragi.
alunno Proserpio Questa è più difficile, probabilmente con una delle misteriose fanciulle di Corto Maltese, da Pandora a Esmeralda, con i quattro assi tatuati sullo zigomo… anche una delle cattive andrebbe bene, tipo Venexiana Stevenson o Melodie Gael…
duffogrup Effettivamente la bella Diana, trascurata per tanto tempo dal bvzm Martin, così impegnato a parlare, parlare, parlare.. potrebbe essere una preda fin troppo facile. Però da gentleman quale sono non mi intrometterei mai tra una coppia sposata, almeno non con Java tra i piedi. La mia scelta quindi va alle sorelle Kisugi di Occhi di gatto. Naturalmente le inviterei in serate diverse, dedicando ad ognuna di loro le attenzioni che meritano. D’altronde sono pur sempre un gentleman.

Con quale autore di fumetti polemizzeresti volentieri de visu?

Mastro Stout Facile per me: uno a caso del Trio dei Sardi di Nathan Never!
alunno Proserpio Come tutti avrei voluto polemizzare col defunto Sergio Bonelli, chiedendogli ragione di una serie di scelte editoriali. Ma poi come portare rancore a uno che dopo tutto ha fatto cose importanti per il fumetto italiano? Pensando a chi è rimasto tra noi forse vorrei fare a cazzotti con Manara, ovvero il più grande talento sprecato del fumetto.
duffogrup Rumiko Takahashi. Chiederei alla regina del manga perchè non sia mai riuscita, con la sola eccezione di Maison Ikkoku, a scrivere un finale degno per le storie che ci ha regalato in questi anni.

Con quale autore di fumetti discorreresti con piacere per ore?

Mastro Stout: Non appartiene alla Nona ma all’Ottava Arte ma, insomma, lo devo proprio menzionare: Hideaki Anno, la mente dietro a Neon Genesis Evangelion.
alunno Proserpio: Anche qua, potendo andare nell’aldilà, sicuramente vorrei incontrare il più grande talento psichedelico avuto in Italia, ovvero Rodolfo Cimino. Gli chiederei da dove venivano fuori creature come i mitici Tapirlonghi Fiutatori. Altrimenti Alan Moore, anche se avrei un pò di paura ad averci a che fare.
duffogrup: Io farei volentieri una bella chiacchierata con Alfredo Castelli. Testando, con domande a ripetizione, la sua proverbiale cultura enciclopedica sulla storia della stampa americana, sui romanzi d’avventura e sui fumetti mysteriosi.

A quale personaggio dei fumetti consegneresti la fascia di capitano della tua squadra di Fantacalcio?

Mastro Stout: Non ho dubbi: Genzo Wakabayashi (a.k.a. Benji Price) di Captain Tsubasa (a.k.a. Holly e Benji).
alunno Proserpio: A King Mob degli Invisibles, per una partita di calcio psicoattiva, a base di guerriglia urbana e arcani rituali di magia sessuale.
duffogrup: Naturalmente a Shingo Tamai il protagonista di Arrivano i Superboys (Akakichi No Eleven) l’anime dove il calcio in versione samurai diventa sudore, fango e lacrime. Sta a Holly e Benji come il calcio italiano degli anni ’70 sta a quello attuale.

La sigla più figa di un anime / cartone animato?

Mastro Stout: Strumentale: Wacky Races e il tema di Lupin III a pari merito; cantata: “Zankoku Na Tenshi no These”.
alunno Proserpio: Facilissimo, c’è qualcuno che non considera Jeeg la sigla più figa di ogni tempo? Se valgono anche i film ci metto una qualsiasi di Hisaishi per Myiazaki. Ma anche la colonna sonora di Akira…mmmh…forse non è una domanda così facile!
duffogrup: Josie and the Pussycats, ritmo indiavolato e tre ragazze che suonano vestite da gatte. Cosa volete di più?

La domanda più banale possibile: i 3 fumetti più belli mai letti e che tutti dovrebbero leggere almeno una volta nella vita?

Mastro Stout No, davvero impossibile rispondere citando solo 3 opere. Mi “limiterò” a dirne un paio per ognuna delle tre scuole fumettistiche che apprezzo e conosco maggiormente. USA: spezzo la risposta tra fumetti pubblicati dalla DC e dalla Marvel, altrimenti non ne esco! DC: Batman: Il lungo Halloween e il suo seguito Batman: Vittoria Oscura (anche se, come storie brevi, citerei La storia di Sam su Superman/Batman #26 e, seppur di tutto altro genere, una delle avventure che da bambino mi fecero sognare a occhi aperti, anche per indubbio merito del formato gigante in cui venne pubblicata nei primissimi anni ‘80: Superman vs. Wonder Woman del maestro Garcia Lopez); Marvel: Iron Man: Com’è successo, com’è stato, come va adesso di Matt Fraction & Salvador Larroca (ma mi sento anche di nominare, come storia lunga, la saga di Wolverine Nemico pubblico di Millar & Romita Jr.). Giappone: anche qui nomino una storia breve (Tenera è la morte di Kinotoriko) e una un po’ più lunga (L’uomo che cammina di Jiro Taniguchi). Italia: altra fatica di Tantalo! Do due risposte, una per il fumetto d’autore, Una ballata del mare salato di Hugo Pratt, e un’altra per il fumetto popolare, la saga What If di Zagor su uno dei ritorni di Hellingen, realizzata da Sclavi e Ferri (Zagor #275-280).
alunno Proserpio Difficilissima, perchè la risposta potrebbe cambiare di volta in volta. Comunque sparo: Akira, capolavoro di narrazione pura con disegno incredibile, Watchmen, per la capacità di decostruire e reinventare i codici fumettistici, e I gioielli della Castafiore di Hergè, incredibile tour de force comico-avventuroso. Ci metto a pari merito La ballata del mare salato, bieco trucco per dirne almeno 4.
duffogrup Nell’imbarazzo di non saper scegliere mi butto e tiro fuori tre titoli “strani” tra i molti che meriterebbero di essere citati: La Fiera degli Immortali di Enkil Bilal dove ogni vignetta è un quadro; Devil Man di Go Nagai, una storia che pagina dopo pagina s’inabissa nel terrore e nella disperazione ma che non si riesce a smettere di leggere fino ad un sconvolgente finale; La Saga della Spada di Ghiaccio di Massimo de Vita che riesce nell’impresa titanica di rendere memorabile una storia con protagonisti Topolino e Pippo.


Ma c’è ancora partita?


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Mastro Stout
Nel senso: ma i fumetti di casa nostra possono ancora dire la loro, in maniera importante, nel mondo dei comics attuale? La risposta che mi sorge spontanea è particolarmente pessimistica.
Ho iniziato a leggere con i fumetti, ben più di 30 anni fa. All’epoca il panorama editoriale era composto, prevalentemente, dai fumetti della (futura) Sergio Bonelli Editore e dagli albi di supereroi delle compiante Corno e Cenisio. Il tutto, ovviamente, presente solo nelle edicole poiché le fumetterie erano ancora di là da venire. Di manga neppure l’ombra, se non qualche esperimento/semi-scopiazzatura prodotto alle nostre latitudini e che metteva in scena le vicende dei robottoni nagaiani. Questa premessa solo per dire che, ahimè, a questa età, posso tranquillamente dire di aver letto un numero impressionante di storie narrate attraverso questo medium, negli anni avvicinandomi anche a scuole di fumetto particolari, forse maggiormente “adulte”, quali quelle argentine e franco-belghe.

Se ora, proprio ora, guardo alcune delle collezioni esposte nella mia libreria, vedo un po’ di tutto e quasi tutto mi provoca un’emozione. Tuttavia, se dovessi stilare una sorta di classifica emozionale personale, temo proprio che i fumetti italiani, nella maggior parte, finirebbero nelle ultime posizioni. Precisiamo: non parlo di autori indiscutibili quali Pratt e Magnus o, per venire ai giorni nostri, Carnevale e Baronciani. Parlo di fumetto italiano cosiddetto popolare.
Sono stato un avido lettore dei Bonelli, per almeno un ventennio. Poi, e il buon Duffo lo sa, mi sono allontanato da questo universo, arrivando anche a polemizzare con un autore celebre della Casa in occasione di un incontro pubblico di qualche anno fa. Senza entrare in discorsi tendenzialmente infiniti, incentrati sulla qualità media delle storie prodotte dalla SBE da anni a questa parte, sulla nascita di continui personaggi ben poco carismatici (qualcuno ha detto “Ultimate Mister No?”) o comunque dalle fortune editoriali a dir poco altalenanti, la mia critica è, se si può definire così, emozionale. Dove sono i Death Note in casa Bonelli, dove si trovano l’epicità e il sense of wonder della JLA, vi è nel suo ormai sterminato catalogo la profondità delle graphic novel di Mazzucchelli?

Se dovessi salvare un personaggio di Via Buonarroti, non avrei dubbi: Zagor. L’unico character che ha saputo rinnovarsi pur nel solco di una gloriosa – e lunghissima – tradizione. Ma che dire delle recenti riletture di Nathan Never e Dyland Dog? E dei nuovi Saguaro (per usare un’espressione degna di Tex, già giunto al termine della pista) e Orfani? Ma c’è originalità in essi, nelle loro vicende, anche nei loro disegni? Scatenano passioni o, più facilmente, sbadigli alla lettura?
Anche se ne abbiamo parlato spessissimo in questi anni, sono curioso di leggere la tua opinione, Duffo.

duffogrup
E io ti rispondo Mastro Stout, continuando questi interessanti esperimenti di post quadrumani dedicati al fumetto, facendo uso di una metafora: la Bonelli Editore è la FIAT del fumetto italiano e come tale ha sempre determinato lo stato e le tendenze di questo media nel paese. Il paragone calza e non solo per la grandezza dell’azienda, per i ritmi di produzione da catena di montaggio che vi sono praticati e per la varietà e pervasività dei suoi prodotti nelle edicole italiane ma anche perchè l’azienda ha sempre esercitato fascino e forza di gravità verso gli artigiani delle piccole officine di provincia. Tutti ricordiamo la serie Un uomo un’avventura, prodotta dalla Bonelli, dove Toppi, Pratt, Battaglia, Micheluzzi, Crepax, Bonvi ed altri davano vita ad uno dei più riusciti tentativi di mettere insieme i mezzi di una grande casa editrice con l’opposto della serialità: il fumetto d’autore. Un po’, per tornare alla metafora automobilistica, Un uomo un’avventura può essere paragonato a quello che fu la Abarth per le macchine FIAT.

L’artigianato di qualità che si sposava perfettamente con il prodotto della grande industria. Eppure, come per le derivazioni uscite dalla carrozzeria dello scorpione, questo tentativo non ricevette (e non riceve ancora) il giusto riconoscimento di pubblico e critica. Bonelli si fondava all’epoca essenzialmente sul fumetto di avventura prebellico. Legato allo schema classico introdotto dalla trasposizione fumettistica dei Tre Moschettieri che Gian Luigi Bonelli fece dando vita a Tex, il fumetto bonelliano si sviluppa nel ventennio ’40-’50 seguendo binari consolidati. Il comandante Mark, Piccolo Ranger e pure Zagor e Mister No, che per alcuni versi sono innovativi per esempio nel evitare un facile manicheismo, sono eroi classici dell’avventura. Questi albi in Italia vanno e vanno forte per tutti gli anni ’60 e ’70 e si continuano a vedere interessanti sperimentazioni come il Ken Parker di Berardi e Milazzo, personaggio che anticipa di poco una nuova ondata. Con gli anni ’80 e ’90 infatti anche in Italia arrivano (finalmente) gli eroi problematici. Dylan Dog, Martin Mystere (il cui maggior problema sono sicuramente le logorroiche spiegazioni) , Nathan Never, Julia, Magico Vento sono personaggi che, con alterne fortune, riescono a cogliere un senso di maggiore ambiguità ed irrequietezza rispetto al tempo in cui “vivono”. Le sceneggiature, tra cui spiccano in particolare quelle di Tiziano Sclavi per Dylan Dog, sono infarcite di citazioni, riferimenti culturali che consentono una lettura multilivello in pieno stile postmoderno. Anche questa nuova versione del fumetto bonelliano ha molta fortuna tra il pubblico. Probabilmente troppa fortuna.

Come dicevo, la Bonelli è come la Fiat e proprio come la casa automobilistica di casa Agnelli, anche la casa editrice ad un certo punto si ferma. Comincia a produrre sempre le stesse utilitarie, che danno un incasso sicuro ma che sono sempre meno competitive rispetto ai modelli esteri (in particolare subisce brutalmente il successo dei supereroi americani e dei manga giapponesi). Certo vengono prodotte ancora fuoriserie da collezione come i Texoni di Kubert e Magnus ma in generale i nuovi modelli (Bred Barron, Gregory Hunter, Jonathan Steele, Dampyr) o nascono male o non vengono supportati a sufficienza e le testate cominciano a chiudere una dopo l’altra. Alla base di questa crisi c’è’ un problema sicuramente industriale, nel senso che l’azienda, soprattutto dopo la scomparsa di Sergio Bonelli, è parsa smarrita di fronte ad un mercato nuovo. Probabilmente in precedenza era diventata troppo grande e ormai troppo rigida per cambiare velocemente. Ingiustificabile però è stata la mancanza, in tanti anni, di ogni tentativo di dare battaglia per la salvaguardia di un mezzo espressivo importante come il fumetto in Italia, lasciando alle fiere e manifestazioni varie questa immane incombenza. E questo atteggiamento pilatesco lo pagò non solo Bonelli ma anche tutte quelle case editrici più o meno piccole che, in tempi di vacche grasse, vivevano delle sue briciole. Il venir meno del fumetto italiano popolare dalla tua personale classifica emozionale, Mastor Stout, purtroppo è il frutto di questo declino. Non basta un John Doe o un Rat Man per far girare la corrente e segnare un punto in questa partita, serve una nuova generazioni di giocatori.


Quando il nome fa la differenza: eroi mitici, eroi borghesi e il Quartetto Cetra


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Mastro Stout
Sono sempre stato colpito, non in maniera particolarmente positiva, dalla scelta di creare personaggi dei fumetti dotati di nome e cognome con le medesime iniziali. Di esempi ce ne sono a bizzeffe. Solo per restare nel Belpaese, quanti esempi di questa tendenza si trovano in casa Bonelli? In ordine cronologico: Martin Mystère, Dylan Dog, Nathan Never e Brad Barron (vabbè, quest’ultimo decisamente non noto come i precedenti ma comunque titolare di una “miniserie”). Ma, andando maggiormente indietro nel tempo e cambiando scuole fumettistiche, tale azione era già fortemente presente nei comics USA, almeno dalla nascita degli iconici personaggi Disney Donald Duck e Mickey Mouse. Ad inizio anni ’40, poi, compariranno vari casi simili in campo supereroistico, come, per esempio, “Lex” Luthor e Wonder Woman, i primi che mi vengono in mente. Penso che questa tendenza abbia avuto il suo apice negli anni ’60, grazie ad autori quali Stan Lee e Jack Kirby, che crearono nientepopo dimenoche Reed Richards & Susan “Sue” Storm, Dr. Doom (da noi, Dottor Destino), Peter Parker, Otto Octavius detto Octopus, Scott Summers, ecc.

La domanda che mi pongo da anni è: “Ma è proprio vero che i lettori dovrebbero ricordare più facilmente nomi di questo tipo?”. Personalmente, direi che sono i nomi corti a essere preferibili in tal senso (Zagor, Diabolik… Java!).

duffogrup
Prendo la palla al balzo direttamente dall’ultima frase di Mastro Stout, a cui do il benvenuto per essersi unito ufficialmente e in maniera perpetua al gruppo di Dead Parrot, per rispondere con un perentorio NO alla sua domanda. Certamente la doppia iniziale è un espediente, una formuletta nata nel mondo anglosassone dei comics. Un mondo che aveva l’unico scopo di vendere albi ai bambini e allora via a nomi che paiono presi da filastrocche. Comunque, iniziali a parte, l’idea parte da un assioma sbagliato e cioè che per imprimere nella mente un nome due parole sono meglio di una. Per spiegare la mia posizione, mi allontano dal mondo del fumetto per considerare da un altro punto di vista questo interessante argomento.
Nel 1914 la squadra dell’Exeter City, dopo una tournè in Argentina, si sposta in Brasile invitata dall’appena nata Federação Brasileira de Sports. Il 21 luglio 1914 Exeter entra negli annali del calcio per essere stata la prima avversaria della Seleção, che vinse anche l’incontro 2-0. Leggendo i tabellini, accanto ai nomi e cognomi tipicamente inglesi dei giocatori dell’Exeter City, appaiono i nomi propri di alcuni giocatori brasiliani che a distanza di più di cent’anni ci risultano incredibilmente familiari: Rolando, Abelardo, Pindaro. Potrebbero essere i nomi di tre giocatori brasiliani dell’attuale rosa del Botafogo e invece sono i primi “apellidos” di giocatori brasiliani registrati a livello di gara ufficiale.
Se nel caso dei tre citati, i fratelli Rolando e Abelardo de Lamare e Píndaro de Carvalho Rodrigues, trattasi di soprannomi coincidenti con i loro nomi propri, tipo Neymar per intenderci, quando arriviamo a “Formiga” ci troviamo davanti ad un vero e proprio soprannome e solo dopo interminabili ricerche sul web veniamo a conoscenza che il nome della formica era l’altrettanto improbabile Aphrodísio Camargo Xavier. L’uso dei soprannomi in Brasile per indicare un calciatore è essenzialmente dovuto alla facilità di ricordare nomi a volte semplicemente troppo lunghi per una vastissima schiera di appassionati, spesso del tutto analfabeti. Immaginiamoci un menino di Sao Paulo scrivere su un muro con mille difficoltà il nome di Edson Arantes do Nascimento o quello di Edvaldo Izidio Neto, quando invece con semplicità può vergare dei velocissimi Pelè e Vavà. E non dimentichiamoci che la bizzarria dei nomignoli brasiliani, associata alla voglia di sperimentare del Quartetto Cetra, ha dato origine ad uno degli esempi di più fulgida follia musicale degli anni ’50, a cavallo tra divertissement sul samba e goliardata razzista in stile coloniale.


La forza del nome singolo, senza bisogno di doppie iniziali, secondo me però è dovuto anche ad un altro fattore oltre alla possibilità di memorizzarlo più facilmente e cioè al fatto che inconsciamente utilizziamo il nome singolo nello stesso modo in cui gli antichi eroi mitologici Ulisse, Achille o Diomede perdevano nella parlata comune il patronimico, pur avendolo. Gli eroi che siano quelli dell’Iliade, giocatori brasiliani leggendari o quelli dei fumetti della golden age (anche italiana), per ricondurmi al discorso iniziale di Mastro Stout, non hanno il cognome perchè sono altro rispetto ai comuni mortali. Quando Givanildo Vieira de Souza prende il soprannome di Hulk non è solo perchè assomiglia come una goccia d’acqua a Lou Ferrigno ma anche perchè sul campo gioca con un impeto e una forza bestiale, proprio come il mostrone verde che, guarda un po’, nella sua versione timida e gracile prende il nome di Bruce Banner. Dylan Dog, Martin Mystere, Peter Parker sono eroi diversi da quelli classici; se vogliamo sono eroi più proletari e democratici che si confrontano con cose più grandi di loro e per poterle affrontare in alcuni casi devono smettere i panni della persona qualunque e diventare Spiderman o hanno bisogno di Groucho (di cui non viene mai nominato il cognome!) e Java. Distorcendo Nanni Moretti mi viene da ribadire che, nel fumetto, i nomi sono importanti e che se con un piccolo stratagemma si riesce a dare una dimensione in più ad un personaggio nuovo ben venga anche la doppia iniziale; tutto sta a dare un senso alle cose. Il mondo del fumetto italiano non ha bisogno di rifarsi a convenzioni e consuetudini vecchie di 60 anni per vendere ma ha necessità di storie e personaggi che si imprimano nei ricordi per quello che sono e fanno, li chiamasero anche Pinco Pallino.