Attention… trois, deux, un..a serie francese molto bella


di

Parbleu! Come Jean Valjean, che si prostra davanti al vescovo Myriel, anche io devo chiedere perdono. Come Quasimodo che si arrampica sulle guglie di Notre Dame, anche io devo affrontare il vuoto che mi ostinavo ad ignorare. Come Zidane che organizza un tete à tete con Materazzi, anche se sarebbe meglio dire un tete à petto, anche io devo sbattere contro il muro la mia capoccia in segno di disperazione. Devo redimermi perché per troppo tempo il mio modo di giudicare le serie tv francesi è stato influenzato da una serie di cliché ingiustificabili. A rafforzare i miei preconcetti soprattutto negli ultimi anni hanno contribuito in maniera determinante quelli de La7 che con Matlock, L’ispettore Tibbs e Barnaby hanno fatto delle serie per vecchi il fil rouge della loro programmazione. Partendo dall’immarcescibile “Commissario Cordier”, passando per “Il comandante Florent”, finendo con “Joséphine, ange gardien”, le ultime esperienze televisive derivate dalla Francia rimangono per me indissolubilmente legate al ricordo di noiose visioni pre-cena a cui, con vari escamotage, cercavo di esimermi.Senza avvicinare mai l’aplomb di Maigret, né le rugosità del commissario Navarro, le espressioni e le abilità investigative di Cordier ricordavano piuttosto quelle di Louis de Funes gendarme a Saint Tropez. La trama in ogni episodio era pressoché la stessa: Cordier, nonostante i guai a gogò che i suoi famigliari gli propinano, risolve casi abbastanza banali ma ci arriva sempre troppo tardi per salvare almeno due o tre malcapitati di turno. Stesse caratteristiche ma con molto più charme del personaggio di Pierre Mondy dimostrava Il comandante Florent, interpretato da Corinne Touzet, che a differenza dell’anziano ispettore parigino vantava una maggiore agilità nell’azione e un’abbondante decolleté che sfortunatamente nascondeva sotto l’uniforme da ufficiale della Gendarmerie. Concludo il terzetto parlando dell’angelo Joséphine rischiando la gaffe ad ogni parola visti i tempi che corrono. La protagonista Mimie Mathy è un angelo, è una nana ed è, ça va sans dire, pasticciona, goffa ed estremamente irritante. Passa intere puntate ad aspettare che i personaggi che deve aiutare trovino da soli la soluzione ai loro problemi poi, constatato il cul de sac in cui si sono ficcati, schiocca le dita, fa una magia et voilà, tutto risolto.
E’ con l’esperienza di questi precedenti quindi che ho proceduto ad una visione en passant su Netflix di un paio di episodi della serie d’oltralpe Chiami il mio agente (Dix pour cent), anche su consiglio-istigazione dell’alunno Proserpio. La serie parla di un’equipe di agenti cinematografici, degli attori a cui questi prestano i loro servizi e in generale del mondo del cinema francese. Altre serie e film hanno trattato il mondo dell’entourage delle star ma nessuno con l’autoironia e una nonchalance tipicamente parigina che Chiami il mio agente dimostra.Da sempre sono un habitué del cinema francese, anche se ho un po’ di ritrosia per i film noir ed i polar in particolare. Apprezzo autori come Ozon che non cadono nella routine dei generi e riescono a cambiare registro da un film all’altro, passando da commedie esilaranti come Potiche – La bella statuina a gialli psico-sociologici come Nella casa. Entrambi questi film sono interpretati da una leggenda della Comédie Française, Fabrice Luchini, uno dei tanti attori che in Chiami il mio agente interpretano se stessi. Tra gli altri: Jean Reno, attore un po’ imbolsito che ha perso il solito savoir faire; Monica Bellucci che per l’occasione risfodera il suo classico personaggio di femme fatale, l’unico che sa fare, che tempesta di avances il suo agente; di nuovo Mimie Mathy che invece di fare l’angelo pasticcione fa una se stessa un po’ stronza che lascia in panne l’agenzia al minimo errore. Ho finito l’intera serie (24 episodi) in pochi giorni, in un per me inusuale tour de force su Netflix. Nonostante qualche défaillance, soprattutto legata ad un paio di personaggi non azzeccati, le puntate scorrono molto piacevolmente. Il finale della quarta stagione (attenzione spoiler) inoltre non è per niente consolatorio anzi, l’agenzia dei protagonisti infatti chiude e la débâcle è tale che alcuni di loro decidono anche di cambiare lavoro. Andréa ad esempio, interpretata da Camille Cottin, all’inizio della serie è la classica donna in carriera, alla fine si dimostra dura come la crème brûlé quando trova l’amore della vita e lascia tutto per lei. Sarà pure un messaggio un po’ demodé, fuori dagli schemi dei moderni maître à penser che insistono su improbabili lieto fine dove affari e sentimenti trovano un magico incastro, ma lo trovo molto più interessante perché in fin dei conti c’est la vie.
Ps: avrei potuto inserire molti altri francesismi ma ormai les jeux son fait rien ne va plus.


Commenta:

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.