I pantaloni di Joaquin Phoenix e la faccia di Bruce Willis


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Quando sono andato a vedere Her di Spike Jonze l’amica che era con me mi ha subito indicato gli assurdi pantaloni a vita alta indossati dal protagonista e da altri comprimari maschili. Dall’abbigliamento di Joaquin Phoenix ti arriva una sensazione familiare e straniante al tempo stesso. Aggiungendo ai pantaloni di panno beige gli occhiali da hipster, le camicie con micro colletti (quadrettate e a tinta unita, melograno o salmone), le scarpe scamosciate con i laccetti e un paio di baffi alla Franco Gatti, quello che ne esce è un personaggio che mi sarei aspettato di trovare in un film ambientato negli anni ’80 oppure in uno di quelli che raccontano le peripezie di qualche irresistibile gruppo di nerd (Phoenix infatti assomiglia in modo soprendente a Kip Dynamite).
Una precisazione: non mi interessa recensire il film di Jonze, non ha senso. Le recensioni fatte per stroncare o per adulare non hanno senso. Come quelle che servono solo ad includere (o sopprimere) per primi un film nel proprio zoo personale, facendo poi a gara a chi possiede la mandria più strana ed esotica. Girando per il web italiano però ti imbatti costantemente in personaggi come Giacomo Giubilini o Christian Raimo che questo ancora non l’hanno capito e si ostinano a sfornare post insulsi vomitando ogni volta litri di livore e porzioni intere di cliché da critico di sinistra. Il fatto che le loro recensioni siano praticamente sovrapponibili e che entrambi collaborino in Rai e pubblichino per Minimum Fax non mi sorprende per nulla.
Torniamo ai pantaloni di Joaquin Phoenix. In un’intervista il costumista Casey Storm sostiene che l’approccio scelto nei confronti dei costumi, e in generale quello usato per decidere l’intero aspetto visivo del film, è stato innanzitutto di togliere piuttosto che aggiungere. Her è ambientato nel futuro, nei dizionari dei film verrà probabilmente etichettato come fantascienza. Eppure il futuro di Her visivamente non è sconosciuto, non ci sono tutine aderenti o cappelli in laminato plastico, niente robot antropomorfi, scanner oculari o taxi volanti. Nonostante queste mancanze lo spettatore intuisce che quello che sta guardando è un tempo diverso dal suo. Tutto sembra come prima eppure non è così. Il traffico caotico delle grandi città è assente, la gente cammina molto e va in spiaggia. La tecnologia futuristica è prettamente informatica, nessuno batte alla tastiera del computer ma si usa solo un perfetto riconoscimento vocale. Il gadget più avvenieristico è costituito da un’auricolare. Anche per quel che riguarda gli abiti, l’effetto straniante che la visione del futuro deve creare nello spettatore è reso non attraverso improbabili futurismi ma tramite l’eliminazione di una serie di accessori che diamo per scontati come le cinture, i cappelli da baseball, i risvolti delle giacche, i colletti delle camicie e l’aggiunta di capi d’abbigliamento come i pantaloni a vita alta, arrivati in quel futuro direttamente dal nostro passato (più precisamente dalla metà del XIX secolo). Per una disamina più approfondita degli abiti del film, questo è un’ottimo post sull’argomento.

L’antitesi di Her è Looper di Rian Johnson. Le storie non hanno nulla in comune e infatti non entro proprio nel merito della trama. Rimango sul piano della forma, del pacchetto esterno che racchiude le vicende. Mentre quello del film di Jonze è un futuro utopico (a parte il senso di solitudine perenne ti verrebbe quasi voglia di viverci), Looper è l’ennesima distopia sfornata da Hollywood. Il mondo è sporco, violento, decadente. La scelta visiva, opposta a quella di Her, è quella di trasportare direttamente dal nostro tempo al 2044 una serie di luoghi caratterizzati da decadenza e depravazione: il night bordello gestito dalla malavita, i vicoli malfamati dove rischi di essere ammazzato se ti avvicini ad una moto nuova, le case dei quartieri poveri che contraddistinguono le grandi città americane. I gangster indossano giubbotti di pelle o completi scuri impeccabili e coi capelli rigorosamente ingellati. Sembrano usciti da uno dei film con protagonista Jason Statham: tutti uguali. Nelle intenzioni tutto ciò dovrebbe servire a riequilibrare l’effetto futuristico di una tecnologia poco accettabile come i viaggi nel tempo (a meno che tu non abbia una DeLorean in garage) o la presenza di esp telecinetici che si divertono a far svolazzare monetine. L’operazione: lascio sprazzi di presente per controbilanciare gli elementi più estranei del futuro, riesce solo a patto di non esagerare. In Looper si esagera e non poco; ecco quindi spuntare moto a lievitazione magnetica, improbabili colubrine a pompa e soprattutto la faccia di Joseph Gordon-Levitt. Per rendere accettabile allo spettatore il fatto che il Gordon-Levitt del futuro diventi il Bruce Willis del futuro-futuro hanno applicato al giovane attore un trucco che ne altera i lineamenti al fine di rendere plausibile la somiglianza. Posto che se prendo una foto di Bruce Willis all’età che ha oggi Gordon-Levitt dovrei trovarmi difronte, secondo le intenzioni dei produttori, praticamente il personaggio del film (Gordon-Levitt + trucco) e invece riesco a vedere solo un Bruce Willis più giovane e capelluto. Per intenderci sto parlando di Bruce Willis alla stessa età di quando interpretava in tv Moonlighting con Cybill Shepherd.

Rimango basito dal fatto che non si sia voluto dare un minimo di credito alla fantasia dello spettatore, al suo grado di accettazione di questa “bugia”, che si sia sentito il bisogno di bloccare ogni possibilità alternativa. Poniamo che Gordon-Levitt avesse interpretato il personaggio di Joe da giovane al naturale, che ad un certo punto fosse arrivato Bruce Willis dal futuro e avesse detto “Io sono te del 2074. Non ci assomigliamo perchè, per nascondermi, nel 2063 mi sono fatto cambiare i connotati da un chirurgo plastico”. A questa balla io ci avrei creduto senza grandi problemi. Mi chiedono di credere al viaggio nel tempo e non dovrei credere a questo?
Non sono dettagli. O meglio: i dettagli sono determinanti e possono condizionare la riuscita di un film ma devono essere soppesati con estrema attenzione. Togliere elementi che possono sembrare insignificanti in maniera mirata, come nel caso di Her, diventa un elemento di distinzione, aggiungere poi un anacronismo quasi invisibile diventa un fattore positivo nell’estetica complessiva del film. All’opposto, in Looper è bastato inserire a cuor leggero un elemento assolutamente superfluo ma evidentissimo come il trucco sulla faccia del protagonista per ottenere che lo spettatore si ponga la domanda peggiore: “Ma ce n’era davvero bisogno?”. Il fattore cura dei dettagli quindi è sempre cruciale, anche quando si tratta di un paio di pantaloni.


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